Novara - Dal Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università del Piemonte Orientale arriva il primo studio sistematico sui costituenti dell’ambrosia, pianta responsabile di una della più gravi forme di allergie da polline. Sono state proprio la gravità e la diffusione di questa allergia a stimolare uno studio sistematico, condotto dal professor Giovanni Appendino, ordinario di Chimica organica. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sullo “European Journal of Organic Chemistry” e subito ripresi alla rivista “Science”, che ha segnalato il lavoro come “Editor’s Choice”. L’ambrosia (Ambrosia artemisiifolia L.) è una pianta straordinariamente invasiva, originaria del Nord America e oggi diffusa in tutte le zone temperate del mondo. Essa produce in abbondanza – milioni di granuli per pianta – un polline irritante e allergenico, responsabile di una delle più gravi forme di pollinosi. Negli ultimi anni la sua diffusione è arrivata a rappresentare un problema crescente in tutto il Piemonte, e in modo particolare nell’area Novarese, dove l’unica soluzione efficace è risultata lo sfalcio della pianta, reso obbligatorio anche in molti comuni della Lombardia. Situazioni analoghe sono state anche segnalate in Francia, Germania ed Ungheria, e il problema ha ormai assunto una dimensione europea.
Lo studio condotto dai ricercatori dell’“Amedeo Avogadro” si è concentrato su una “popolazione” di ambrosia raccolta nel quartiere novarese di Sant’Agabio. Da essa è stata caratterizzata una serie di nuovi terpeni – le biomolecole che sono i principali costituenti delle resine di molte piante – a struttura insolita, identificando anche la presenza di potenti allergeni da contatto. «L’ambrosia novarese – ha spiegato la dottoressa Federica Pollastro, collaboratrice del professor Appendino, che ha svolto un ruolo importante nella ricerca – è completamente diversa da quella americana, ed estremamente eterogenea, in quanto campioni raccolti a pochi metri di distanza sono risultati differenti fra loro; alcuni dei composti isolati sono risultati in grado di attivare un recettore sensoriale infiammatorio (il TRPA1), largamente diffuso nelle vie aeree e implicato nell’induzione di crisi asmatiche e nei danni respiratori degli inquinanti ambientali. In pratica, il polline di ambrosia, oltre a contenere proteine allergeniche, rappresenta anche un vettore per tutta una serie di composti offensivi e irritanti di per sé non volatili, che vi sono contenuti in alta concentrazione».
«I risultati di queste ricerche – ha aggiunto lo stesso professor Appendino – gettano nuove basi per la comprensione delle reazioni allergiche e infiammatorie date dall’ambrosia. Inoltre portano alla ribalta problemi complessi, destinati ad aggravarsi in futuro per diversi motivi: l’aumento della temperatura che stimola la produzione di polline; l’azione degli inquinanti ambientali che ne ha aumentato gli effetti; infine gli sforzi per contenere la diffusione della pianta che sono sostanzialmente falliti ovunque. La vitalità dei semi di ambrosia, capaci di germinare anche a 40 anni dalla loro diffusione, garantisce, purtroppo, che il problema è destinato a durare a lungo».