Novara - La Camera ha detto Sì al “divorzio breve”: saranno sufficienti dodici mesi di separazione giudiziale o sei mesi di consensuale, indipendentemente dalla presenza o meno di figli, per scrivere definitivamente la parola “fine” su un matrimonio. L'approvazione di questa riforma del diritto di famiglia, ora passa al Senato, per l’approvazione definitiva. Non saranno, perciò, più necessari i tre anni, richiesti fino ad oggi, per chiedere il divorzio dopo la separazione. Un cambiamento epocale, certo, che equipara l’Italia a diversi StatI europei dove non esiste l’istituto della separazione ma che ha, ovviamente, suscitato diverse reazioni. Alcune entusiaste, altre contrarie. C’è chi vede il provvedimento come una soluzione perfetta per evitare strascichi e condizionamenti alla vita privata degli ex coniugi e chi, al contrario, intende i tre anni di separazione come un periodo in cui far “decantare l’emotività e le situazioni di conflitto”. La prospettiva giusta, però, può essere un’altra.
«L’idea corretta da cui si dovrebbe partire per effettuare qualsiasi tipo di considerazione – commentano Rosa Maria Nicotera, Chiara Settembri e Nicoletta Pavero, operatrici del Centro di Mediazione e attivazione delle risorse Mediana di Novara che, da anni, si occupano, anche attraverso la formazione, di promuovere la cultura della mediazione sul territorio – è che la separazione e il divorzio non dovrebbero rompere i legami familiari ma solo riorganizzarli. La crisi della famiglia non dipende, certo, dall’istituzione della Legge sul Divorzio che l’ha solo fatta emergere ma dall’incapacità del nucleo di gestire la crisi, nel momento in cui si manifesta. Ancora oggi, a differenza di molti Paesi Europei in cui il “divorzio breve” o un suo surrogato è già in atto, in Italia, le famiglie non godono del necessario sostegno, in termini di welfare sociale e in termini di strumenti preventivi, per affrontare quella crisi che poi può portare allo scioglimento del matrimonio».
Nonostante la Mediazione Famigliare sia un iter percorribile, da almeno trent’anni, anche nel nostro Paese.
«La mediazione ridefinisce i rapporti – continuano le mediatrici – non li scioglie. Non importa a quel punto, se devono trascorrere dodici mesi o tre anni per giungere al divorzio perché la famiglia arriverebbe pronta ad affrontare quel momento. Per intenderci, in tre mesi la mediazione è in grado di preparare un nucleo famigliare nella sua riorganizzazione. La proposta di legge parla di “negoziazione” tra avvocati mentre la mediazione prevede un contributo multiprofessionale che comprende anche gli avvocati, ma non solo. Gli accordi presi, in caso di divorzio, devono essere presi sulla base dei bisogni reali di tutti gli individui; il divorzio è un evento complesso e come tale va seguito da diverse prospettive. Diminuire i tempi del divorzio non significa diminuire la complessità del fenomeno».
La mediazione, insomma, aiuta a non ridurre il matrimonio ad un mero accordo economico o quasi. «Non si può considerare – concludono le mediatrici – una relazione che è nata su un progetto esistenziale con forti investimenti per la coppia e che non è solo un progetto procreativo ma un progetto generativo, ad un contratto. In presenza di figli, a questi ultimi deve essere garantita anche dopo il divorzio l’appartenenza ad un nucleo famigliare che è composto anche dai nonni, ad esempio, e la stessa attenzione, riservata in precedenza, da parte di tutti. Gli adulti si separano tra loro ma il loro progetto genitoriale continua. Questo andrebbe tenuto bene a mente, al di là dei mesi da segnare sul calendario per ottenere il divorzio».