Novara - Sono passati 35 anni dall’indimenticabile trasmissione di Renzo Arbore ed Ugo Porcelli, uno sconclusionato salotto televisivo in cui uno spassoso assortimento di personaggi (da Nino Frassica a Maurizio Ferrini, da Roberto d’Agostino ad Andy Luotto) improvvisava conversazioni piuttosto surreali per contrastare, con la sottile arma dell’ironia, la banalità di un format televisivo allora piuttosto in voga. Il sottotitolo di questo articolo potrebbe riprendere la celebre espressione diventata il motto dell’improbabile comunista romagnolo interpretato da Ferrini: “Non capisco, ma mi adeguo”. Questo devono aver provato nei mesi scorsi gli imprenditori che fanno capo all’Associazione Italiana Imprese di Intrattenimento da Ballo e di Spettacolo (SILB, ex Sindacato Italiano Locali da Ballo) all’interno della FIPE, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, associazione leader nel settore della ristorazione, dell’intrattenimento e del turismo che rappresenta oltre 300.000 imprese italiane. Dallo scorso 23 febbraio, giorno in cui il Presidente del Consiglio ha emanato le prime Disposizioni recanti misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, dapprima rivolte a Veneto e Lombardia, con le quali si imponeva la “sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato”, si è rapidamente giunti al DPCM dell’8 marzo, art.1 lettera g) recante “sono sospese tutte le manifestazioni organizzate, nonché gli eventi […] anche se svolti in luoghi chiusi ma aperti al pubblico, quali, a titolo d'esempio, grandi eventi, cinema, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati. Nei predetti luoghi è sospesa ogni attività.” Questa norma riguardava, in modo esplicito, anche le province di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola - benché in nome di un responsabile senso civico i locali fossero chiusi già dal 23 febbraio - che con i suoi 8 locali da ballo conta circa 500 persone fra dipendenti e lavoratori dell’indotto. Sono il popolo che lavora nella notte, Dj, barman, camerieri, addetti al catering, ballerini, buttafuori, musicisti, tecnici, promoter; hanno un’età media che non arriva ai 30 anni e nella notte hanno scelto di lavorare per consentire lo svago ad altri giovani, coniugando responsabilmente divertimento e sicurezza.
Nonostante siano questi i cardini di un settore che da tempo lavora a stretto contatto con le forze dell’ordine e combatte in prima linea l’esercizio abusivo ad opera di locali non autorizzati che, oltre a rappresentare una forma di concorrenza sleale, non condividono i protocolli d’intesa siglati con il Ministero dell’Interno e le Prefetture (dall’accordo-quadro nazionale del giugno 2016, all’intesa programmatica sottoscritta il 12 luglio 2019 con i presidenti delle associazioni rappresentative del settore Silb-Fipe, Asso Intrattenimento e Fiepet Confesercenti), né il decreto Cura Italia, né il Decreto Rilancio si sono ricordati di questi lavoratori, escludendoli dai destinatari di quella misera indennità di 600,00 euro pur riconosciuta ad altri lavoratori le cui attività hanno risentito dell'emergenza conseguente alla pandemia.
Se anche con il DPCM del 17 maggio sono rimaste “sospese le attività che hanno luogo in sale da ballo e discoteche e locali assimilati, all’aperto e al chiuso” - mentre dal 15 giugno hanno potuto riprendere, seppur con specifiche restrizioni e dovuti accorgimenti, gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, da concerto e cinematografiche - è con il successivo DPCM dell’11 giugno che si è scatenata la caccia all’untore, nel momento in cui all’art.1 lettera m) il Premier indicava che “Le regioni e le province autonome, in relazione all'andamento della situazione epidemiologica nei propri territori, possono stabilire una diversa data di ripresa delle attività, nonché un diverso numero massimo di spettatori in considerazione delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi”. E così mentre palestre, piscine, spiagge, stabilimenti balneari, parchi acquatici, circhi, luna park, sale giochi e bingo inauguravano la stagione estiva, i locali da ballo e le discoteche sono stati esposti al pubblico ludibrio, fatti oggetto di un massacro mediatico (tutti ricordano gli attacchi contro il Governatore Solinas in Sardegna) che ha additato come untori i loro frequentatori e come vergognosamente irresponsabili gli imprenditori della notte (che prima dell’annus horribilis producevano 4 miliardi di fatturato dando occupazione a 50.000 lavoratori) che pur si sono responsabilmente adeguati alle norme previste: sanificazione dei locali, misurazione della temperatura corporea, utilizzo di materiale monouso, prenotazione on line, capienza ridotta, registro con le generalità dei clienti conservato per 14 giorni…
Durante l’estate anche il Celebrità di Trecate - dice il titolare Maurizio Lo Vecchio, presidente della SILB Novara Cusio-Ossola - si era reinventato per affrontare con creatività le nuove modalità di divertimento conseguenti alle norme vigenti: fascia oraria ridotta (dalle 19,30 a mezzanotte), musica in sottofondo e aperitivo preparato con prodotti del territorio. Strategia di breve periodo però: le discoteche sono state nuovamente chiuse dal 17 agosto ed i bar e ristoranti, che cercavano di rialzarsi dopo il nuovo lockdown, con il DPCM del 24 ottobre sono stati costretti a chiudere i battenti alle ore 18, impedendo qualsiasi forma di vita sociale serale.
Eppure anche gli psicologi affermano che la notte rappresenta per gli adolescenti ed i giovani un momento di maturazione identitaria, configurandosi come uno spazio-tempo di ricerca della propria autonomia e individualità, svincolati dal controllo esercitato dagli adulti e dalle loro aspettative. È un momento che racchiude un significato esistenziale di scoperta di sé, dei propri limiti e delle proprie risorse mentre, contemporaneamente, appaga il bisogno narcisistico di riconoscimento sociale e di appartenenza al gruppo. Nello stesso tempo il calo della tensione che caratterizza la fine della giornata comporta un abbassamento delle difese che facilita l’affiorare di pensieri, immagini ed emozioni rimasti latenti durante il giorno, e qui interviene l’educazione alla responsabilità, questa sì di competenza dei genitori, della scuola e della società quale comunità educante, affinché quella che può essere considerata una naturale espressione dello sviluppo del proprio sé, non porti a comportamenti disfunzionali ed a rischio per il singolo e la collettività.
Si è avuta notizia, con il decreto Ristori del 28 ottobre, che gli indennizzi erogati per le discoteche arriveranno al 400%, calcolato sulla perdita di fatturato di aprile 2020 (pari a zero) rispetto a quello dello stesso mese nel 2019. Nonostante la cifra appaia ragguardevole non bisogna lasciarsi ingannare: a conti fatti si tratta in realtà di un misero risarcimento per gli imprenditori i cui locali sono chiusi da dieci mesi (circa il 3% del fatturato) ed il cui danno subito contribuisce a rendere ancora più fragile il tessuto economico locale.
Per questo, nella settimana precedente il Natale, si è levato nuovamente il grido d’allarme da parte di una categoria amareggiata dall’indifferenza del Governo verso i settori definiti “non essenziali”, quindi ancor più pesantemente colpiti dalla situazione pandemica e dalle conseguenti norme restrittive imposte a tutela della salute pubblica, come quelli della ristorazione e dell’intrattenimento. Afferma infatti la Fipe-Confcommercio “Tutte le imprese sono essenziali quando producono reddito, occupazione e servizi e tutte le attività sono sicure se garantiscono le giuste regole e attuano i protocolli sanitari loro assegnati. Questi provvedimenti offendono i trecentomila pubblici esercizi italiani, chiusi da una politica che ha perso credibilità e capacità di funzionamento, perché evidentemente considerati attività insicure ed irresponsabili, nonostante su 6,5 milioni di controlli effettuati sulle attività commerciali, ristorazione compresa, solo lo 0,18% ha subito una sanzione, secondo i dati del Ministero degli Interni.”
Nel nostro Paese il valore economico e sociale della voce intrattenimento è ragguardevole: considerando la voce “eventi” in senso lato si tratta di un giro d’affari di 65,5 miliardi di euro con totale di occupati pari a 569.000 addetti (dati Oxford Economics e Istituto Astra Ricerche/ADC Group). Di questi i soli locali coprono 7 miliardi e mezzo per un totale di quattrocentomila occupati, eppure in nessun decreto emesso sino all’ottobre 2020 vengono menzionate le discoteche, se non per intimarne la chiusura sine die.
Cosa chiede adesso al ministro Franceschini ed al Governo l’Associazione Italiana Imprese di Intrattenimento da Ballo e di Spettacolo? Pace fiscale per i mesi di chiusura forzata; sospensione del canone RAI speciale, della revisione degli estintori, delle caldaie, dei registratori di cassa; sospensione delle utenze, degli sfratti e delle esecuzioni immobiliari, (a fatturato zero le aziende sono tenute a pagare anche gli affitti, oltre agli stipendi); sospensione dell’imposta sugli intrattenimenti (ISI), pari al 16%, e riduzione dell’IVA al 10%, come avviene per cinema e teatri, se non addirittura al 5% come nel tanto lodato “modello tedesco”.
Alla luce di questi affanni potrei concludere ironicamente con Arbore, riprendendo alcuni versi della sigla di apertura della citata trasmissione “Che stress, che stress, che stress di giorno. Ma la notte no!” oppure, con più poesia, evocare il brano di Jovanotti, Gente della notte, in cui si svela che “il giorno cambia leggi e cambia governi, e passano le estati e passano gli inverni, la gente della notte sopravvive sempre, nascosta nei locali confusa tra le ombre. […] La notte fa il suo gioco e serve anche a quello, a far sembrare tutto, tutto un po’ più bello”.
Dott. Ing. Pietro Palmieri - 335 5931890 pietropalmieri.abclearning@gmail.com