Novara - «È stato il vero cantore della Valle Vigezzo come Dante Graziosi, suo amico ed estimatore, lo è stato della Bassa Novarese e Interlinea è orgogliosa di avere in catalogo le sue opere letterarie maggiori, a cominciare da Nel sole zingaro con cui fummo in finale al premio Strega» è il ricordo di Benito Mazzi da parte di Roberto Cicala, editore di Interlinea, la casa editrice che ha in bozze la nuova edizione del capolavoro dell’autore ossolano con la prefazione di Bruno Gambarotta.
Il primo titolo pubblicato oltre 25 anni è una storia per ragazzi, Il sogno di Gibo, premio “Storia di Natale” 1996, e gli ultimi sono La ragazza che aveva paura del temporale, con presentazione di Giulian Sgrena, e Il falsario sognatore. Con Un uomo che conta Mazzi aveva sfiorato la vittoria al premio Bancarella Sport. Nel 2005 uscì invece Gli invincibili della neve. Dalla Formazza all’oro olimpico di Gramisch, con un testo di Mario Rigoni Stern, per indicare quanto le opere presso l’editrice novarese siano state le più autorevoli, prima di una produzione molto più territoriale che lo scrittore ha prodotto con il marchio della sua libreria di Santa Maria Maggiore, Il Rosso e il Blu.
Interlinea nei mesi scorsi ha poi pubblicato l’ultimo volume della rivista annuale “Microprovincia” diretta da Franco Esposito dedicato a tre autori ossolani e che contiene alcuni degli interventi più importanti su Mazzi.
Benito Mazzi è nato a Re, in valle Vigezzo, nel 1938. All’attività di giornalista, è direttore di un settimanale ossolano e della rivista “Verbanus”, ha affiancato negli ultimi quindici anni un’attenzione etnografica sulle tradizioni valligiane, interessandosi anche al fenomeno degli spazzacamini, e una produzione narrativa, in parte legata al mondo sportivo (Premio Coni con un libro su Giovanni Maria Salati) e alla scuola (Almeno questanno fammi promosso, presentato da Gaetano Afeltra, è stato un best seller nel suo genere). Mazzi ha maturato al contempo una vena letteraria originale e di valore (da La fornica rossa a Nel sole zingaro, il suo capolavoro), forgiando il suo stile espressionistico su una lingua che molto deve alle radici dialettali. Gianfranco Contini lo definì un «novello Francesco Chiesa con una nota di umorismo in più».