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Le toccanti parole di mons. Brambilla per ricordare il piccolo Leo

Novara - Tanta, tantissima gente nel pomeriggio di martedì 28 maggio all'ultimo saluto del piccolo Leonardo, vittima della violenza omicida nella casa, la sua casa, che invece di essere luogo di protezione si è rivelata come trappola dove ha trovato la morte a soli 20 mesi. Duomo di Novara gremito, tante lacrime, commozione fortissima e una piccola bara bianca, accompagnata da tanti palloncini dello stesso colore e a forma di cuore, perché tutta la comunità ha ora a cuore questa triste, drammatica e terribile vicenda familiare su cui sta indagando la magistratura e per la quale sono stati fermati la madre (in stato interessante di 5 mesi) e il compagno, accusato di averlo ucciso con percosse di "violenza inaudita", come sottolineato dalla Procura.

Parole nette, quelle dette dal vescovo di Novara, mons. Brambilla durante l'omelia, davanti ad una moltitudine di persone incapaci di capire come sia potuto accadere un fatto del genere nella civilissima Novara nell'anno del Signore 2019. "Carissimi, siamo qui attoniti, feriti e con nel cuore un dolore indicibile di fronte alla terribile tragedia che si è abbattuta sul piccolo Leonardo. Una vita appena sbocciata, indifesa, bussava alla porta del mondo per avere una casa e invece ha trovato miseria e violenza umana. Ci uniamo con le lacrime, l’amore e la preghiera, invocando la pietà umana e la misericordia di Dio su chi non ha saputo accogliere il sorriso e la gioia di un bimbo che chiedeva soltanto di vivere. Tutta la città di Novara si stringe con un unico cordone d’affetto quasi per arginare l’onda di male che ci trafigge il cuore e sembra minacciare ciascuno di noi, lasciandoci nella paura e nello sconforto. Carissimi, non abbiamo timore, teniamoci per mano, preghiamo insieme, invochiamo la forza del Signore, perché ogni giorno diventiamo portatori di vita e non distratti consumatori di cose: questo tempo, il nostro tempo, sta tornando ad essere come il mondo antico, dove le donne e i bambini erano una proprietà del padrone di casa e, quando non servivano più, venivano eliminati. Su questa scena è entrata la parola di Gesù come un canto di liberazione: «lasciate che i bambini vengano a me…» (Mc 10,14). Sì, dobbiamo lasciare che i bimbi vadano da Lui, non sono nostra proprietà, ci sono dati in dono. Noi siamo servitori della vita, dobbiamo tenerla in grembo con tenerezza, amarla con rispetto, custodirla con grazia, farla crescere con fiducia. Siamo qui, Signore, davanti a questa piccola teca in cui dorme il corpo martoriato di Leonardo. Per non lasciarci solo sgomentare da questa tragedia dobbiamo raccogliere il gemito che viene da quel corpo, perché solo così è possibile comprendere la parola di Gesù che libera e consola. Che cosa ci dice Leonardo, che cosa non è riuscito a dire a chi gli stava vicino? Il piccolo Leonardo ci dice almeno due parole, a cui risponde il comando di Gesù: Lasciate che i bambini vengano a me… Dalla bocca infante, cioè che non sa parlare, di questo bimbo raccolgo questa prima parola: accogliete i bambini. La strage degli innocenti continua fino ai nostri giorni: da chi non accoglie la vita, dalle violenze in famiglia, dalla barbarie ideologica che attraversa l’Africa, il Medio Oriente, sino allo Sri Lanka. I bambini non sono cosa, ma dono per noi, non sono proprietà, ma scommessa per la vita, non sono neppure un mezzo della nostra felicità, ma un punto di domanda che chiede di sedere al banchetto della gioia. All’inizio il sorriso del bambino ci appare sorpresa, dono, incanto, ma poi nel cammino di ogni giorno può apparirci un impegno gravoso, può mettersi di traverso al bisogno di realizzarci, alle nostre pastoie affettive, alle relazioni familiari che si fanno e si disfano, non tenendo conto di chi ci sta accanto… Tutti parlano del bene supremo del minore, ma nella vita concreta il piccolo è ancora un ingombro alla nostra voglia di libertà capricciosa, al nostro calendario pieno di svaghi, al nostro bisogno di viaggi e divertimenti. Il bambino spesso mette a nudo la nostra immaturità. Il bimbo oggi deve servire al desiderio dei genitori: lo si vuole bello, prestante, sportivo, intelligente, è il nostro io che si specchia nell’altro, mettendogli talvolta sulle spalle uno zaino pesante. No, il bimbo ci chiede di accoglierlo così com’è, semplice, duttile, pieno di voglia di vivere, desideroso di giocare. È un piccolo essere che chiede dedizione, pazienza, attenzione, tempo perso. Il bimbo ci chiede di uscire da noi stessi: accoglierlo è perdere il centro della propria vita, e metterlo in circolo con altri centri e altri cuori: quando noi grandi diciamo quella terribile frase: “anch’io ho il diritto di essere felice…” allora non stiamo accogliendo il bambino, diventiamo noi il perno del mondo. Il bimbo chiede di essere lui il centro del mondo, per imparare piano piano, tra forti grida e lacrime, a fare spazio agli altri nel mondo. La seconda parola che questa tragedia ci dice è la più difficile: ci chiede di guardarci nel nostro cuore, di non urlare solo la nostra rabbia, ma di guarirla con la tenerezza della pietà e della misericordia. Il piccolo Leonardo ci dice: custodite i bambini. Il male si annida nel nostro cuore, non è solo nei nostri gesti, ma ha radici profonde nella aggressività e nella violenza, nella rigidità e nella pretesa delle nostre relazioni, nella possessività e nella avidità dei modelli di vita. Il male è una radice malata che ha bisogno di essere curata e guarita. Il bimbo è una pianta fragile che ha da essere custodita e difesa, ci chiede di non essere lasciato solo, ma di farlo crescere con tenerezza, con buoni esempi, con una vicinanza che gli fa spazio, con una benevolenza suadente, con una forza incoraggiante. Siamo qui in molti: abbiamo tanta paura nel cuore. Non sappiamo come sfogare la nostra rabbia, vogliamo innalzare un muro, perché il male non ci tocchi, la violenza non ci contamini, la depressione non ci distrugga. Non possiamo solo operare chirurgicamente il male, dobbiamo guarirlo con pazienza, dobbiamo somministrare la medicina del bene, il farmaco della prossimità, delle relazioni buone, delle nostre periferie che devono diventare accoglienti, dei nostri quartieri che devono ritornare a vivere, degli spazi per il gioco e la vita comune, delle risorse date per le famiglie povere, dell’attenzione agli svantaggiati. Custodire i bambini significa anzitutto dedicare tanto tempo all’educazione, al bello, al bene, al vero, alla cura degli altri, al rispetto dei tempi della crescita, alla gioia del conoscere, alla forza di amare, alla corrente dell’amicizia. Custodire i bambini significa favorire la crescita, aprire spazi di vita buona, di relazioni sane, di impegni stimolanti, di sfide che irrobustiscono non solo il corpo, ma anche l’anima. Non dobbiamo mettere al centro il “re bambino”, ma far crescere l’uomo che impara, che cerca, che è curioso, che ama, che sta con gli altri. Facciamo fatica persino a descrivere il bene, ma tu Leonardo insegnaci col tuo sorriso che la vita non vale per quanto si sta bene, ma per il molto che si condivide. Custodire la vita che cresce è una promessa che esige la fedeltà di una vita intera. Le due parole che provengono dal corpicino straziato di Leonardo ci aprono ad una terza, che è quella di Gesù. È una parola che ci coglie di sorpresa, perché noi grandi spesso ci mettiamo di mezzo, sgridiamo i bambini perché vogliono andare da Gesù, impediamo che corrano incontro al mistero della vita, non consentiamo loro di aprirsi al dono della benedizione. Anche noi qualche volta sgridiamo i bambini perché ci danno fastidio, sono vivaci, irrequieti, o perché sono disabili, difficili, fanno chiasso nei nostri ambienti e nelle chiese. Il Vangelo ci dice che: «Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse…» (v. 10,14a). Gesù si arrabbia che non lasciamo aprire i bambini al mistero della vita, che non li lasciamo andare da Lui. Carissimi, ascoltiamo oggi, di fronte a questa tragedia che mette in crisi le nostre coscienze, la parola sferzante di Gesù: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio» (v. 14b). Non dobbiamo impedire ai figli di andare da Lui, di uscire dalla gabbia del nostro sogno. I figli non sono il tappo che riempie il nostro desiderio e la nostra ricerca di benessere, ma sono la freccia dell’arco della vita che entrerà nel futuro dopo di noi. Per questo Gesù dice: “non glielo impedite!». A Leonardo è stato impedito di entrare nel futuro. Dobbiamo “lasciare andare tutti i nostri figli” nei pascoli erbosi e alle acque fresche del domani. Signore, non smettere di fare anche oggi il gesto che il tuo Vangelo ci racconta: «E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro» (v. 16). Prendi i nostri bambini tra le tue braccia, benedicili, metti la tua mano sul loro capo, e fa di tutti noi uomini e donne della riconciliazione e della pace". 

Addio piccolo Leo, e che il tuo sacrificio sia di monito per tutti, nessuno escluso, perché un dramma del genere deve non solo far riflettere, ma anche - e soprattutto - agire.

Gianmaria Balboni