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Misar: quando fotografare non è una passione, ma uno stile di vita

Maurizio Faraboni, Misar

Novara  - Lo incontro in redazione. Viene a trovarci in modo molto informale, con sottobraccio un book con numerosi negativi e qualche scatto che ti colpisce come un pugno nello stomaco. "Mi chiamo Maurizio Faraboni, ho 39 anni, sono papà di un bimbo di pochi anni e sono fotografo, anzi... fotoreporter". Sentirlo raccontare la sua passione per la fotografia e gli ultimi 17 anni di attività ti lascia a bocca aperta. Vorresti starlo ad ascoltare per ore per quel che dice e soprattutto per la passione che ci mette nello 'spiegare' il mestiere del foto-reporter.

"Ho iniziato quasio per caso nel 1994. Avevo poco più di 20 anni e mi divertivo a fare qualche scatto. Un giorno ne feci uno davvero molto bello ad una ragazza e a mia nonna, che aveva un negozio di cristalleria a Biandrate, le piacque talmente tanto che decise di metterlo in vetrina. La foto venne notata da Monty Shadow, un grandissimo della fotografia, che mi volle con lui nel suo staff e da lì cominciammo questo viaggio incredibile nel mondo della moda. Ho conosciuto star assolute e top model del calibro di Naomi Campbell, Carol Alt, Martina Colombari, quindi attori come Sylvester Stallone e Richard Gere, Gianni Versace poco prima che venisse assassinato a Miami e il grandissimo Ayrton Senna, del quale conservo gelosamente alcune immagini scattate poco prima di quel maledetto 1° maggio 1994 ad Imola quando perse la vita. La fotografia era diventata in assoluto il mio lavoro. Cominciai a viaggiare in tutto il mondo, visitando posti straordinariamente belli ma anche pericolosi, come altri dove invece vigeva il lusso più sfrenato. Il mio cuore è rimasto nell'America Caraibica: Cuba, Santo Domingo e Haiti sono posti che hanno colori incredibili, ma sono anche molto a rischio".

Si leva la camicia e la maglietta per un istante e mi mostra le cicatrici sulla schiena: "Questo è un ricordo di Haiti, dove abbiamo rischiato la vita e siamo stati presi a macetate, perché una banda voleva rubarci la macchina fotografica. Ma ho resistito e sono scappati a mani vuote, anche se io mi sono fatto diversi giorni in ospedale per le ferite profonde...".

Tra i ricordi di Maurizio c'è indelebile quello di Belgrado del 1999: "Infuriava la guerra di Bosnia e l'attacco contro la Repubblica Serba di Milosevic. Ero l'unico italiano in quell'inferno di bombe e distruzione, mentre la capitale jugoslava veniva quasi rasa al suolo. Da allora cambiai decisamente interesse riguardo agli scatti: basta con le sfilate e le top-model e nuova vita nei posti più terribili e pericolosi del pianeta. Ho girato in Africa e in Sudamerica posti dove nessuno avrebbe avuto il coraggio di visitare per colpa dell'Aids, del virus dell'ebola e soprattutto della malaria. Fu così che nel Burkina e Faso venni a contatto con un lebbrosario e da allora ho fatto delle foto e delle mostre nelle nostre zone per poter testimoniare di quanto disagio vive quella gente e raccogliere fondi per loro. Proprio per questo motivo ne abbiamo organizzata di recente una a Novara".

Non solo top-model, macetate e lebbra... anche un rapimento nel curriculum di Misar: "E' successo circa 4 anni fa e venni portato via dagli ezbollah mentre mi trovavo in Libano. La situazione si stava facendo pesante, perché per il mio rilascio in quanto fotoreporter avrebbero richiesto e preteso un accredito internazionale mandato da un giornale, che testimoniasse che ero a Beirut per lavoro. L'unico a raccogliere il mio appello disperato a migliaia di chilometri di distanza è stato l'amico Attilio Barlassina, che mandò un fax dalla redazione del giornale per cui lavorava e letteralmente ci salvò la pelle. Un grandissimo gesto del quale lo ringrazio tuttora".

A lui che ha girato quasi tutto il globo gli chiediamo il 'posto del cuore' (giusto per morire un po' di invidia...). Senza pensarci un attimo dice: "Cuba! La gente è straordinaria, il Paese è stupendo e poi prima della caduta del regime va visitato per vedere con mano come si vive senza essere colonizzati dagli americani. Un altro posto che mi è rimasto nel cuore è il Senegal, ma questo lo dico per motivi affettivi: lì infatti vado a trovare la mia madre adottiva Celestina Fortina che sta facendo moltissimo per quella gente".

E uno dove è bene evitare? "Haiti...". In questo caso non aggiunge altro, ma si tocca la schiena. Le ferite di quel macete fanno ancora male e sono aperte. E probabilmente non si rimargineranno mai più...

Gianmaria Balboni