Novara - I sindacati chiedono la "sottoposizione tamponi e/o test sierologici per screening - COVID-19 personale dipendente presso la Casa Circondariale di Novara e popolazione detenuta (circa 400 persone), forniture DPI e gel igienizzanti. Ci permettiamo di intervenire presso le loro autorità affinché si apra una riflessione sulla politica di diffusione del contagio in una comunità chiusa quale è il pianeta Carcere di Novara. Nel rispetto delle normative emanate a livello Governativo, Regionale e Dipartimentale sono state attuate dalla Direzione le misure previste per la prevenzione dalla diffusione del contagio da covid19 e, proprio per ciò, la nostra realtà risulta doppiamente marginata sia per il personale che opera sia per la popolazione detenuta. Ma questo non è sinonimo di limitazione del rischio di infezione da COVID-19. Infatti il personale in parte torna nelle proprie famiglie a fine turno per cui è esposto ai rischi della popolazione comune. La differenza con gli altri posti di lavoro è che nel ritorno in carcere, vista la presenza costante degli stessi operatori e degli stessi detenuti e le limitazioni spaziali e quindi l'impossibilità a mantenere la distanza minima interpersonale di sicurezza, il rischio di infezione aumenta notevolmente e a velocità maggiori rispetto ad altri impieghi. Come accennato, anche anticipando le indicazioni dipartimentali, nella realtà novarese il Direttore del carcere Dr.ssa Marino ha attuato subito misure di prevenzione dalla diffusione del contagio già ai primi segnali di rischio provenienti dalla Lombardia laddove ha prudentemente interrotto i colloqui dei famigliari dei detenuti proprio per ridurre la possibilità di contagio dall'esterno, incrementando il numero di telefonate che i detenuti potevano effettuare verso i propri cari. Sono stati inoltre successivamente esentati dal servizio alcuni poliziotti con patologie pregresse note e quindi maggiormente suscettibili al virus. Persiste però il problema degli operatori che comunque conducono una vita all'esterno e rischiano quindi di essere veicolo del virus per i colleghi e per i detenuti. Vi chiediamo di valutare attentamente i prossimi punti perché in una politica di contenimento del contagio l'esplosione del virus nella realtà carceraria non può essere ignorata. Le criticità del carcere di Novara sono quindi le seguenti: -Altissima percentuale di operatori e di detenuti di sesso maschile (ricordiamo che gli uomini sono maggiormente colpiti rispetto alle donne) -non casi noti e accertati di infezione da COVID-19 presso la nostra struttura, ma casi di agenti penitenziari con sintomi più o meno importanti ( febbre alta e persistente, anosmia, tosse associata a dispnea, etc..) che si sono assentati da lavoro solo qualche giorno o in caso di sintomi lievi hanno continuato a lavorare -ingresso continuo di operatori esterni e di nuovi giunti quindi a rischio, anche in assenza di sintomi, di essere portatori sani del virus e quindi contagiosi -spazi ridotti e impossibilità a mantenere la distanza di sicurezza richiesta (vedi l'alta percentuale di morti nelle RSA dove non solo le pluripatologie e l'età degli ospiti ha determinato l'altissima mortalità, ma anche il fatto che il virus è sicuramente entrato dall'esterno portato da operatori e parenti e si è poi diffuso) -assenza di dispositivi adeguati (in parte giunti, ma mai adeguati rispetto alle necessità) -presenza di una caserma in cui alloggiano sempre in spazi ristretti numerosi operatori penitenziari -rischio di rivolte da parte dei detenuti (già pesantemente avvenute negli altri carceri dove sono stati riportate anche morti di detenuti e lesioni di agenti) che da una parte non si sentono adeguatamente protetti, dall'altra lamentano l'impossibilità di vedere i propri cari. Si segnala che negli ultimi giorni sono iniziate azioni di protesta da parte di alcuni detenuti - alto rischio di contagio in caso di rivolte proprio dovute all'inevitabile assembramento - popolazione detenuta costituita da un considerevole numero di 41 bis per cui l'eventuale trasferimento in ospedale e la successiva sorveglianza richiederebbero un dispiego notevole di forze con ulteriore rischio di diffusione dell'infezione, oltre all’accentuazione delle difficoltà operative delle strutture sanitarie già impegnate -alta percentuale di agenti penitenziari originari del centro e sud Italia che per l'emergenza hanno dovuto posticipare i rientri presso le proprie famiglie nelle città di origine e che appena sarà dato il via libera per gli spostamenti probabilmente torneranno ad abbracciare i propri figli, mogli e genitori rischiando però di trasferire il virus in aree al momento meno contagiate per assenza di uno screening adeguato. Sulla base di quanto scritto sopra, del noto altissimo numero di persone COVID-19 positive ma asintomatiche, dell'individualità dei tempi di negativizzazione del tampone, chiediamo nella nostra realtà carceraria novarese che al momento sembrerebbe asettica (anche se probabilmente non lo è) di effettuare il prima possibile a tappeto test di screening per COVID-19 con tampone e/o test sierologici su tutta gli operatori penitenziari e su tutti i detenuti. Vogliamo cercare di evitare ciò che purtroppo è notoriamente accaduto negli altri istituti (compreso il decesso di un collega) in una fase in cui ci sarà probabilmente una riapertura graduale delle attività lavorative generale probabilmente previo screening negativo. La nostra richiesta è quindi in linea con quanto lo Stato sembra voler effettuare in quella che sarà la fase 2, ma nel nostro caso la nostra attività lavorativa non si è mai interrotta e l'unica "ricompensa" che richiediamo per i nostri lavoratori che mai come oggi hanno continuato a prestare servizio nonostante le scarsissime protezioni e l'altissimo rischio di contagio è quella di preservare la loro salute. Glielo dobbiamo".
Il comunicato è firmato da Giuseppe Raso - Sappe, Marco Caponi - Osapp, Erberto Cappiello - Uil/Pp, Bernardo Torromeo - Sinappe, Daniele Squillace - Fns Cisl, Massimo Greco - Uspp, Sandro Astorino - Cnpp e Nicola Iannello - Fp Cisl.