Trecate - "Ero un fervente sostenitore della pena di morte": Joaquìn José Martinez racconta il suo punto di vista prima che un errore gli cambiasse la vita e gli occhi con cui andrà avanti a guardarla. "Ero un giovane che si trovava a vivere il sogno statunitense, quello che in realtà del sogno non ha nulla, sapete…". Tramite la comunità Sant’Egidio, Joaquin José ha condiviso con Trecate un’esperienza vissuta da lui come da molti altri uomini, che però non possono riportarcela. Nella fredda sera del 4 dicembre Joaquìn è riuscito a scaldare tutti i presenti di amore per il prossimo e ripudio per quella che purtroppo è una punizione ancora in voga, efficacie non più di una bacchettata sulle mani, ma straziante come solo lei sa essere.
José aveva 24 anni, quando una chiamata raggiunge la stazione di Polizia e lo accusa di omicidio. Il mittente è la sua ex moglie, sicura che il marito non avesse commesso alcun crimine, voleva solamente un pretesto per ottenere l’affido dei suoi due bambini. Due giorni dopo José è in manette, detenuto senza prove dalla polizia statunitense, viene condannato a morte, ingoiato in un viaggio verso la fine che nessuno pochi giorni prima avrebbe mai immaginato di incontrare nella sua vita. Il viaggio è durato 36 mesi, tre lunghi anni nei quali Joaquin subì pesanti prepotenze fisiche e psicologiche da parte delle guardie: "I telefilm americani fanno vedere solo una piccola parte di quello che succede in realtà - confessa - ma credevo ancora nella pena di morte, avevo perso fiducia nelle istituzioni".
Qualcosa poi, prima che José venisse prosciolto grazie al sostegno della famiglia e di molti altri attivi per la causa, lo colpisce in pieno. È la condizione degli altri detenuti e delle altre famiglie. Detenuti che un giorno presero posto sulla sedia elettrica, senza più riabbracciare la libertà, avendo perso già da tempo l’umanità. Sì, perché più si avvicinava il giorno dell’esecuzione, meno uomini si veniva considerati dai carcerieri e da figure istituzionali, alla stregua di pezzi di carne da percuotere e raggirare. Tra questi detenuti condannati alla pena capitale v’era Frank, scoperto innocente solamente dopo che venne lasciato morire di cancro e pestaggi nell’infermeria del carcere, Frank che pregava l’amico Joaquin di portarlo via con lui una volta che avesse dimostrato la sua innocenza.
La pena capitale vige tutt’ora in 58 Stati, incarcerando innocenti e talvolta uccidendoli. Una pena che non rende giustizia alle vittime, né ripara i crimini commessi o cambia la mentalità delle persone; amministrata da altri uomini e pertanto soggetta a errori e abusi, è una vergogna per l’umana organizzazione. Josè ha vinto contro l’ingiustizia grazie ad innumerevoli aiuti, ma deve vincere anche per Frank e per tutti gli altri uomini la cui vita viene strappata da altri loro simili, senza miglioramenti dal punto di vista sociale.
Nel suo racconto Joaquin parla poco di sé, è come se ci mostrasse le immagini della sua esperienza di vita per dare risalto ai sentimenti e alle altre storie attorno alla sua, per esortarci ad alzarsi e a prendere posizione di fronte ad un’assurdità che ancora va avanti.
Silene Gambino