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Archeologia del vino

Borgomanero - Comprendere il vino significa comprendere il territorio e tutte le eccellenze che questo produce, anche quelle del settore caseario. E' una strada per rilanciare l'economia italiana, visto anche che il "sentiero" industriale è irto di difficoltà. Questo in sintesi, il pensiero di Filippo Maria Gambari, durante l'incontro, avvenuto alla villa Marazza di Borgomanero nel tardo pomeriggio di venerdì 23 settembre. Incontro inserito all'interno delle Giornate Europee del Patrimonio, attraverso un titolo che la dice lunga sulle origini della produzione del vino in Italia del Nord: “Archeologia preromana dell’uva in Cisalpina". Gambari, autorità in materia di archeologia (è stato Soprintendente ai Beni Archeologici della Lombardia e attualmente ricopre il ruolo di Direttore responsabile Segretariato Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per la Sardegna) ha tracciato un preciso quadro della nascita e implementazione della vite nel nord della penisola, agganciandola alla produzione casearia. In pratica ha sottolineato come la vite "sia una coltivazione millenaria, giunta in Italia diciassette secoli prima di Cristo, in piena età del bronzo, risalendo pian piano la penisola sino ad arrivare ai piedi delle Alpi". E proprio in questo frangente Gambari ha spiegato come vino e birra siano bevande conosciute molto bene dai popoli italici. In particola modo, siamo già in età del ferro, ovvero qualche millennio prima di Cristo, grazie alle muffe asportate dal pane di segale "per meglio conservare - ha detto - il prodotto della vite, sia nato anche il formaggio gorgonzola: lo stracchino con l'inserimento di muffe, aveva una vita più lunga ed era gradevole al palato". Fatta questa deviazione, è ritornato al prodotto vino-birra, bevande molto vicine al nord Piemonte. L'esempio è arrivato dalla scoperta di una tomba a Pombia nel 1995: un reperto, risalente a 2.600 anni fa, evidenziava tracce di birra "rossa" "di discreta gradazione - ha aggiunto - attorno agli otto, undici gradi che ora ci farebbero sorridere, ma che in quel periodo era molto forte". Non è mancato il continuo paragone tra greci, etruschi, popolazioni italiche: sia sul modo di produrre che di consumare vino e birra. Due mondi che differenziano culture e concezioni della tavola. Gambari ha spiegato l'origine del nome Lambrusco, Greco (Erbaluce), Nebbiolo, vino asprigno che respira le nebbie, la cui nascita è assegnata agli etruschi; le varie tecniche d'impianto: dall'alberata tipica del centro-sud Italia al sostegno della vite. Curioso il passaggio nel quale ha sottolineato il ritrovamento di un’anfora etrusca a Castelletto Ticino: non solo indica i contatti tra queste due civiltà, ma denota come già in quel periodo la viticoltura in pianura Padana sia stata "stimolata" a lasciare invecchiare il vino per gustarlo meglio. Dunque, nulla riguardo il vino è moderno: l'invenzione delle botti è retaggio della Gallia Cisalpina (e non dei francesi) così come l'invenzione del "decanter" per l'ossigenazione del vino; in passato si chiamava fiasca a trottola. Vendere i prodotti con storia, come succede in Italia, non si trova da nessuna altra parte: una strada da seguire con attenzione. Al termine degustazione del gorgonzola "Palzola", prodotto di eccellenza del territorio, e la “Maggiorina” vino storico del territorio.