Novara - Amare e servire. L’invito che Gesù rivolge ai propri discepoli attraverso il gesto emblematico della lavanda dei piedi è più che mai vivo e di attualità anche per l’uomo contemporaneo. Lo ha ricordato Anna Maria Cànopi, abbadessa del monastero benedettino “Mater Ecclesiae” dell’Isola di San Giulio a Orta, che venerdì sera ha animato con la sua lectio divina il secondo Quaresimale della Cattedrale del progetto Passio, intitolato “Gesù all’Ultima Cena: il dilemma del potere tra chi sta a tavola e chi serve”. Una riflessione, quella proposta da madre Cànopi nel Duomo di Novara alle oltre mille persone presenti (e a molte altre raggiunte in collegamento streaming), che parte dalle parole del Vangelo secondo Giovanni «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» e dalle immagini di due scene della Parete gaudenziana: quella dell’Ultima Cena e quella della Lavanda dei piedi. «Gesù è sorprendente nel capovolgere la logica umana per sintonizzarla con quella divina: con il suo gesto di inginocchiarsi e lavare i piedi al suo discepolo che ha posto a capo della Chiesa, risolve il dilemma del potere tra chi siede a tavola e chi serve facendosi il “servo” dei servi di Dio, perché regnare non consiste nel comandare i fratelli ma servirli con umiltà» ha sottolineato l’abbadessa. Un gesto molto antico, quello della lavanda dei piedi, che sin dai tempi remoti e fino a epoca molto recente era riservato ai pellegrini, di cui troviamo testimonianza non solo nell’Antico e Nuovo Testamento – per esempio nella visita del Signore ad Abramo e nell’episodio evangelico della peccatrice – ma anche nella Regola benedettina, in cui questo rito viene offerto agli ospiti e al novizio in occasione della sua ammissione: «dopo che l’abate ha lavato i piedi al novizio, tutti i membri della comunità si prostrano in ordine di età a baciarne i piedi: un rito non solo emotivamente toccante per le lacrime che lo accompagnano, ma anche trasformante». Un gesto antico che l’uomo d’oggi può far proprio come segno di una norma evangelica – quella di amare e servire gli altri – da attuare in ogni ambito del nostro tempo e della nostra società e le occasioni si presentano in ogni momento, ha messo in luce madre Cànopi: «la mamma che si occupa dei suoi bambini sta lavando i piedi del prossimo, ma lo possiamo fare anche con gesti semplici come cedere il passo davanti allo sportello, lasciare il meglio agli altri ed essere servizievoli».
L’abbadessa ha ricordato che il cardinale Carlo Maria Martini parlava della lavanda dei piedi come «eucaristia vissuta nella vita quotidiana», sottolineando che nell’affresco di Gaudenzio la valenza liturgica di questo rito è ben evidenziata dall’ambientazione in una cattedrale, mentre la scena dell’Ultima cena ha come teatro una casa. Ma anche l’arte contemporanea ha offerto interessanti spunti di riflessione quando madre Cànopi ha illustrato il dipinto Lavanda dei piedi del prete tedesco Sieger Köder, che rappresenta un Gesù talmente raccolto sui piedi di Pietro che il suo volto resta completamente nascosto e si riflette solo nell’acqua del catino: «significa che soltanto se ci mettiamo ai piedi dei fratelli, possiamo vedere e trovare il volto di Cristo ardentemente cercato come ci dice il Salmo».
In chiusura dell’incontro, il vescovo Franco Giulio Brambilla ha sottolineato che «le parole di madre Cànopi sono risuonate come il brusio degli angeli: qualche parola ci è anche scappata perché vengono da tanto silenzio e sono sapide, ricche del sapore della vita» e ha invitato i presenti a non dimenticare le oltre cento donne che in questi quarant’anni l’abbadessa e la sua comunità hanno accolto nel monastero di clausura con il rito della lavanda. E madre Cànopi ha risposto: «considero di essere venuta lavare i piedi a ciascuno di voi; come san Paolo diceva, salutando la comunità, “vi saluto perché non vedrete più il mio volto”, anche se stando nell’Isola non vi vedo, vi ricordo uno a uno e abbraccio tutta la Diocesi».