Lumellogno - Carlo Migliavacca (e il suo inseparabile cagnolone nero Calvin) è una di quelle figure che rendono una comunità unica. La passione e l'attenzione per la storia, la cultura, le tradizioni e soprattutto per l'anima della 'sua' Lumellogno l'hanno reso noto 'oltre confine' per le ricerche affrontate con il massimo dell'attenzione e della passione.
Ma chi è il Carlìn? Carlo Migliavacca è nato a Novara il 12 febbraio 1950, residente a Lumellogno dalla nascita. Grafico editoriale in pensione. La formazione cattolico-salesiana, a Milano, e gli eventi legati al periodo “sessantottino” lo hanno forgiato ad una attenzione particolare per il sociale. Negli anni ’70 ha partecipato ai lavori per l’istituzionalizzazione dei Consigli Circoscrizionali nel Comune di Novara, vivendone tutta l’esperienza prima come consigliere e poi come Presidente dal 1983 al 1988. Come “memorabili” sono ricordate le sue manifestazioni di protesta sociale, organizzate e messe in atto con amici e compagni di avventura senza guardare in faccia a nessuno. Vivendo a stretto contatto con personaggi che hanno partecipato direttamente alla “Battaglia di Lumellogno” del 1922 e alla Resistenza, ha avuto modo di raccogliere “in diretta” racconti, testimonianze e fotografie, arrivando a realizzare il libro “Lumellogno 15-16 luglio 1922 – Paese non italiano” (4 edizioni), servito come testimonianza per l’attribuzione al Comune di Novara della massima onorificenza della Repubblica Italiana: la medaglia d’oro al Merito civile (25 aprile 2007)per Lumellogno e la medaglia di bronzo al Merito civile per la staffetta partigiana Maria Giovanna Giudice (15 dicembre 2008). Entrambe le richieste di “riconoscimento” sono state presentate dallo stesso Migliavacca, nello scetticismo generale. Il legame particolare con la “sua” Lumellogno, lo ha portato a realizzare il libro “Lumellogno tra Storia, Arte e Cultura”, in collaborazione con Luigi Simonetta, nel quale viene raccontata tutta la vita civica e religiosa del borgo alle porte di Novara. Nel 2009 ha collaborato con il regista novarese Vanni Vallino per realizzare il docu-film “Novara millenovecentoventidue”, tratto dal suo libro. Ultima sua produzione, del 2017, il libro “Una fantastica avventura – Storia del trasporto del Crocifisso di Lumellogno”, in occasione del bicentenario 1817-2017. In occasione del 70° della Liberazione, 1945-2015, in collaborazione con il regista Enrico OmodeoSalè ha realizzato il documento filmato “Mamma, vado a morire, ma da Partigiano”, ricevendo l’importante riconoscimento attribuito dall’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza e altri premi. Innumerevoli, poi, sono le sue collaborazioni con quotidiani, settimanali e mensili. Molti altri sono i racconti raccolti in libri di Autori diversi, coordinati da Serena Fiocchi. Ha curato, inoltre, la pubblicazione del libro “Diario della mia guerra, storia di un adolescente sotto le bombe” di Paolo Grassi, edito da “Segni e Parole” di Gianni Lucini. Molto importanti sono le sue ricerche iconografiche “a tema” come “La raccolta del riso: una volta si faceva così” e “I vecchi mestieri”, tutti corredati da vecchie foto, testi esplificativi dettagliati e poesie dialettali in novarese; sì, perché Carlo Migliavacca è anche poeta dialettale e uno dei suoi componimenti,“Parlé ‘l dialèt”, è stato musicato e cantato dal musicista novarese Marco Tamagni. Ai suoi tanti lavori di ricerca storica, imperniati soprattutto sulla Resistenza novarese e ossolana - sia testi che testimonianze video - hanno attinto diversi Autori e registi; a titolo esemplificativo si cita il libro dello scrittore ossolano Mario Borgnis“Romano Sotta, l’ultima manciata di ciliegie”, edito nel 2019, e il regista Stefano Cerutti, il quale ha utilizzato l’intervista video diMigliavacca, fatta alla signora Maria Barbieri di Finero (valle Vigezzo), inserendola nel documentario in 10 puntate “Val Grande ‘44, Storia del rastrellamento”(2019). Va sottolineato, inoltre, che Carlo Migliavacca è l’unico depositario delle opere, in poesia e in prosa, della scrittrice vigezzina (suor) Gemma Maria Chiapponi, la quale ha affidato allo stesso, prima di morire all’età di 99 anni, un patrimonio culturale di notevole spessore. Questo suo impegno gli è stato riconosciuto il 29 giugno 2012 a Chiusa di Pesio (CN) alla “6^ Festa del cinema e della cultura” (premio internazionale) ricevendo il premio per la Cultura con questa motivazione: “Premio per la Cultura a Carlo Migliavacca, per la sensibilità e la preziosa ricerca nei suoi libri di storia”. Nel giugno 2012, inoltre, Carlo Migliavacca è stato ricevuto, in visita privata, dall’allora Presidente della Repubblica - Giorgio Napolitano - su invito personale; i suoi libri e i documenti filmati sono conservati nella Biblioteca del Quirinale, in quanto viene “apprezzato per il suo impegno culturale, per il suo indiscusso talento e anche per la sua etica, il suo valore umano, il suo impegno umano e sociale”(parole del Presidente Emerito della Repubblica G. Napolitano). Appassionato di fotografia, non perde occasione per raccontare la Terra novarese con tutte le sue bellezze, ma è anche attento e sensibile alle problematiche ambientali presenti nel territorio novarese – Lumellogno e Pagliate in special modo – le quali, sistematicamente, le denuncia pubblicamente e senza mezzi termini.
Carlo Migliavacca è da ritenersi la “memoria storica” di Lumellogno.
Ecco due sue poesie con i commenti.
IL TUFFO NEI RICORDI - Ogni poesia è dettata da ricordi ed emozioni e questa è scaturita da un piccolo fatto che la mia mamma Pia ogni tanto mi raccontava: "Io avevo 4 anni e, con la mamma, tornavamo in treno da Reggio Emilia, dopo la visita ai nonni materni. Bene, in treno non stavo mai fermo e arrecavo disturbo agli altri passeggeri nello scompartimento. Ad un certo punto mamma Pia mi richiama in italiano: "Carlo, stai fermo, non disturbare". Al richiamo di mamma, meravigliato per il richiamo in lingua italiana, mi rivolgo a lei dicendo: "MA PARLA BEN, MAMA". Mamma Pia è sprofondata!
Qui il video cantato:https://www.youtube.com/watch?v=aDDYVJ2BPL8&t=87s
PARLÈ ‘L DIALÈT (musicata e cantata dal musicista Marco Tamagni)
Vargognàt mai
da parlè al to dialèt,
l’è la maneragiüsta
par dì da duatavegni.
L’è ‘l prufümdla to tèra,
al sügh di to risèri…
al to parlè al disa
chenuarestasè.
Al to dialèt l’è müsica,
l’è ‘nacanson ch’la cunsula,
früt da cula scola
che i vecc i t’han insignà.
Pàrlal in ca e fòra,
pàrlalciar e s-cèt…
l’è bèl al to dialèt
par chi a la sa scultè.
Lassa mia ch’aspèrda
i storii e i canson,
i pruvèrbi e i tradission
chi t’han dai in eredità.
Fin da fiulinapenanassù,
cun la prima nina-nana…
sülcördla to mama
ta l’è imparà.
Al dialètat ricorda
al cald dal fuculàr,
parolidulsi e cari
ant’alcörjenradisà.
Tapödisavé i lingui da tüt al mund,
ma ‘l to parlèpüssè ver e genüìn
al resta sempar al dialèt
cata sé imparà da fiulìn.
PARLARE IL DIALETTO
Non vergognarti mai
di parlare il tuo dialetto,
è la maniera giusta
per dire da dove vieni.
È il profumo della tua terra,
il sugo delle tue risaie…
il tu parlare dice
che novarese sei.
Il tuo dialetto è musica,
è una canzone che consola,
frutto di quella scuola
che i vecchi ti hanno insegnato.
Parlalo in casa e fuori,
parlalo in modo chiaro e schietto…
è bello il tuo dialetto
per chi lo sa ascoltare.
Non lasciare che si perdano
le storie e le canzoni,
i proverbi e le tradizioni
che ti hanno dato in eredità.
Fin da bambino appena nato,
con la prima ninna-nanna,
sul cuore della mamma
l’hai imparato.
Il dialetto ti ricorda
il caldo del focolare,
parole dolci e care
che nel cuore sono radicate.
Puoi conoscere le lingue di tutto il mondo,
ma il tuo parlare più vero e genuino
rimane sempre il dialetto
che hai imparato da bambino.
LA MUNDINA
La vegnasüprestu, pena canta ‘l gal
s’anfiladüstrascmècafüssacarnaval,
a pé ‘n tèra a s’anviarasüi’àrsana caminè
vèrs la risèra, cunt’alris da trapiantè e da mundè.
In mès dal fangh fin ai ginöcc,
cunt’alsüdur ch’ag cula ant’iöcc,
piegàtüt al dì cunt’laschena atoch
suta cul sul ch’agrustissa anca i’oss.
E lì süculàrsan… südüpé
a ghèfèrmu ‘l Cap‘mè ‘n carbigné,
ant’i man al bastóne ‘n testa ‘nacaplina
ch’a squadra ‘l da-drédlapovraMundina.
Rivà la sera, finì ‘l lavur
la turna in cassinamasarà da südur,
ma pö la fa ‘l bagnant’alfòsse s’fa tütabèla
par fè cui tri salttüti ‘n sèmasül’èra.
Pö spunta la lüna, sa scürissa ‘nca ‘l ciel
e la nocc la distenda sü la tèra ‘l so vel;
van tüti a durmì, strachi e scalmanà
e par incö l’è finì la lunga giurnà.
Slungà ‘n t’la so branda la pensa, tapina,
mè l’è grama la vita dlaMundina;
aghciapa ‘l magon, la pensa a ca sua, la so tèraluntan,
i so sacrifissi i sèrvan par dè ‘na man.
Suta i lansönissün a la s-cèra
ant’ant ch’la piangiapar cula vitascia in risèra;
ma prima che i’occissèran dal tüt
laMundina la prega par circhè n’aiüt:
“Tacugnössi i mè peni, o Madunina,
sculta l’invucassión d’una povraMundina;
l’è massacrant al mèlavur in risèra,
ma i la fóvulantéra, dl’amatin a la sera.
Al mèlavur d’ancö e dumàn
ch’al sia d’aiüt par tütl’an;
ricórdat da tüti cui ch’imvöran ben
e benedissa i Mundini par tüti i dì ch’a ven”.
LA MONDINA
Si alza presto, appena canta il gallo
si infila due stracci come fosse carnevale,
a piedi scalzi si incammina sugli argini
verso la risaia, con il riso da trapiantare e da mondare.
In mezzo al fango fino alle ginocchia,
con il sudore che gli cola negli occhi,
piegata tutto il giorno con la schiena a pezzi
sotto quel sole che arrostisce anche le ossa.
E lì su quell’argine… in piedi
c’è fermo il Capo come un carabiniere,
nelle mani il bastone e in testa il cappello
che squadra il sedere della povera Mondina.
Arrivata la sera, terminato il lavoro
torna in cascina fradicia di sudore,
ma poi fa il bagno nel fosso e si fa tutta bella
per fare quei tre salti tutti assieme sull’aia.
Poi spunta la luna, si scurisce anche il cielo
e la notte distende sulla terra il suo velo;
vanno tutte a dormire, stanche e scalmanate
e per oggi è terminata la lunga giornata.
Distesa nella sua branda pensa, la poveretta,
come è grama la vita della Mondina;
le prende il magone, pensa a casa sua, la sua terra lontano,
i suoi sacrifici servono per dare una mano.
Sotto le lenzuola nessuno la vede
mentre piange per quella vitaccia in risaia;
ma prima che gli occhi si chiudano del tutto
la Mondina prega per cercare un aiuto:
“Conosci le mie pene, o Madonnina,
ascolta l’invocazione di una povera Mondina;
è massacrante il mio lavoro in risaia,
ma lo faccio volentierri, dal mattino alla sera.
Il mio lavoro di oggi e domani
che sia d’aiuto per tutto l’anno;
ricordati di tutti quelli che mi vogliono bene
e benedici le Mondine per tutti i giorni a venire”