Novara - Elisabetta Pozzi arriva al Teatro Faraggiana giovedì 15 febbraio alle 21 in Elena da Omero-Euripide-Seferis-Ritzos; regia di Andrea Chiodi; musiche di Daniele D’Angelo; costumi di Ilaria Ariemme; luci di Marco Grisa. Chi non è rimasto affascinato dalla figura di Elena, una delle più belle donne dell'antichità? Per lei si scatenò a Troia una sanguinosa guerra durata dieci anni. Eppure un'altra Elena si scopre ai nostri occhi nel monologo lirico che il poeta Ghiannis Ritzos compose nel 1970. Lontana dagli stereotipi, è una donna del presente a noi più vicino, che valuta, ripensa la propria esistenza, seppur eccezionale! La versione del mito che Ritzos ci offre è un vero e proprio ribaltamento dell'immagine di Elena che la tradizione letteraria ci ha donato. Nel poemetto, rivolgendosi ad un soldato, presenza muta, forse un vecchio amante che torna a farle visita un'ultima volta , lei stessa offre di sè un ritratto assai impietoso. Circondata dal degrado, dal senso di vuoto, da ancelle irriverenti che le fanno dispetti. Cosa resta a questa Elena ora che la sua proverbiale bellezza è svanita? Condannata anche lei che fu simbolo di incanto e perdizione, ad un destino mortale. Eppure la vecchia Elena sa regalare memorie, riflessioni, immagini che il tempo non scalfisce e che rimarranno eterne. Elisabetta Pozzi indaga l'universo e la mitologia femminile attraverso la poesia. E si confronta con la disfatta di Elena, ormai vecchia e disillusa. Quarantacinque minuti, sola in scena, per raccontare un mondo vuoto e distrutto, dolente e bellissimo Continua, Elisabetta Pozzi, a indagare l'universo e la mitologia femminile attraverso la poesia: si incontra e si scontra con il verso e con il ritmo musicale, tesse trame sottili attraverso secoli di creazioni, compie indagini in prospettive contemporanee. Indaga, e si fa voce di scritture capaci di disegnare ritratti inediti. Ora è la volta di un ritorno: all' Elena di Ghiannis Ritsos, il maggior poeta greco di questo tempo, nella ripresa di uno spettacolo già allestito nel 1990, anno della morte dello scrittore. Ancora una volta sola in scena, la Pozzi dà corpo e voce alla disfatta di Elena. La donna più bella del mondo, la dea contesa, è ora una vecchia, abbandonata, amareggiata, disillusa. Questa Elena ricorda «le ombre dei nomi», il passato folgorante e sfuggito in un istante, le gesta e le illusioni, curando le parole, «come traduzioni da una lingua che non conosco». È ormai straniera al suo passato, l' Elena di Ritsos, e può solo resistere: a se stessa, innanzi tutto, alle ancelle che la derubano, agli uomini che la fuggono, alla solitudine, al ricordo. «Anche Ulisse, prima o poi, torna a casa», dirà Elena: è la chiusura di un ciclo, il ritorno che perde poeticità, e acquista il sapore amaro della sconfitta, della caduta nel quotidiano, della routine provinciale, della solitudine. Ma lei, Elena che aveva sconvolto gli eserciti greci e troiani, sopravvive ancora, nonostante tutto: ancora viva, ancora a inseguire parole, quasi una Winnie beckettiana che non smette di librarsi in cielo, come in sogno. Un canto doloroso, dunque, e umanissimo che, trova nella brava Elisabetta Pozzi una fedele e misurata interprete, capace di far risuonare limpido il verso di Ritsos, tradotto di Nicola Crocetti. Colorato dall'accompagnamento musicale di Daniele D'Angelo che la segue nel suo dire, creando atmosfere che ricodano quelle di una sorta di night club di cui lei sembra essere la “diva” ormai dismessa, il suono puro della parola poetica colpisce e rapisce: e quarantacinque minuti sono sufficienti per raccontare un mondo distrutto e vuoto, dolente e bellissimo.