Novara - Venerdì6 alle 20.30 e domenica 8 dicembre alle 16 va in scena al Teatro Coccia la tragedia lirica in due atti Norma: musica di Vincenzo Bellini, libretto di Felice Romani, tratto dalla tragedia “Norma ou l’infanticide” di A. Soumet. La prima rappresentazione ha avuto luogo al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre 1831.
Regia di Alberto Fassini, ripresa da Vittorio Borrelli, maestro concertatore e direttore Matteo Beltrami, maestro del coro Mauro Rolfi, scene e costumi William Orlandi. Impegnati l'Orchestra Filarmonica del Piemonte e il Coro Schola Cantorum San Gregorio Magno. Allestimento a cura del Teatro Regio di Torino. Produzione: Fondazione Teatro Coccia.
Personaggi ed interpreti: Norma, druidessa, figlia di Oroveso (Soprano) Alessandra Rezza, Pollione, proconsole di Roma nelle Gallie (Tenore) Roberto Aronica (nella foto), Oroveso, capo dei Druidi (Basso) Luca Tittoto, Adalgisa, giovane ministra del tempio d’Irminsul (Soprano) Veronica Simeoni, Flavio, amico di Pollione (Tenore) Giacomo Patti, Clotilde, confidente di Norma (Mezzosoprano) Alessandra Masini, due fanciulli, figli di Norma e Pollione, Druidi, bardi, eubagi, sacerdotesse, guerrieri e soldati galli, Cavalieri, dame, paggi, alabardieri.
La trama: allontanatisi i Druidi, il proconsole romano delle Gallie, Pollione, confessa all’amico Flavio di voler fuggire con la giovane sacerdotessa Adalgisa, abbandonando la madre dei suoi figli, Norma, anch’essa sacerdotessa. I due si allontanano ed entra Norma. Di fronte ai guerrieri riuniti la donna pronunzia parole di prudenza e invoca con una preghiera la luna. Pollione, restato solo con Adalgisa, la convince a sciogliere i voti e a seguirlo a Roma. Norma è a conoscenza che Pollione deve fare ritorno a Roma e confessa la propria ansia alla fedele Clotilde. Entra Adalgisa che, ignorando il legame fra Pollione e Norma, chiede alla sacerdotessa di liberarla dai vincoli religiosi, così che possa unirsi all’uomo che ama. Norma acconsente, ma esige in cambio il nome dell’amante. Quando Adalgisa le indica Pollione, Norma è sconvolta. Il proconsole, entrato in scena, è preso dal rimorso e Adalgisa sembra essere decisa a rinunciare al suo amore.
Norma in preda a profondo turbamento, vorrebbe uccidere i figli ma si trattiene. Quando chiama Adalgisa, cui ha deciso di consegnarli, ella le conferma la sua decisione di non volere seguire Pollione. Presso il bosco sacro Oroveso, capo dei Druidi e padre di Norma, convoca i sacerdoti e i guerrieri per informarli che Pollione sta per essere sostituito da un proconsole più spietato e che nuove legioni romani saranno messe a rinforzo di quelle già stanziate sul loro territorio. Presso il tempo di Irminsul Norma teme ancora che Pollione voglia portarsi con sé Adalgisa. Il sospetto è confermato da Clotilde che le rivela che il proconsole ha già architettato un piano per rapire la donna. Ma ecco che Pollione, disarmato, viene portato al tempio. Norma raduna i Guerrieri e ordina di innalzare il rogo su cui arderà la vittima propiziatrice nell’attacco contro le legioni romane. Norma vorrebbe denunciare Adalgisa, ma, con abnegazione, si trattiene. Affida i figli a Oroveso e, lentamente, sale sulla pira. Pollione, al quale solo ora si rivela la nobiltà d’animo della donna, la segue sulle fiamme.
Di pochi mesi posteriore a Sonnambula, Norma rappresenta la più interessante espressione del genio belliniano: straordinaria nella potenza lirica e nell'acutezza dell'introspezione caratteriale dei personaggi, soprattutto di Norma, la cui personalità viene delineata con particolare efficacia nelle situazioni di drammaticità e in quelle di tristezza e di abbandono. La calma spirituale di "casta diva", pervasa di un'intensa religiosità, viene a contrastare con l'angoscia e la disperazione della grande scena iniziale del secondo atto e con il furore tremendo e vendicativo del terzetto che chiude il primo atto, in cui il carattere fiero e coraggioso di Norma trova la sua totale esplicazione. Ma il momento di più vibrante intensità è sicuramente il finale del secondo atto: lo strazio di Norma ("Qual cor tradisti"), la sua prostrazione, la sua disperata implorazione ("Deh! Non volerli vittime") sono momenti in cui la melodia, la vocalità intensa e straziante realizza un quadro vibrante di emozioni tra i più significativi di tutto il melodramma. (da "L'opera e le sue storie" di Mario Pasi e Guido Cavallera; ed. Curci, Milano 1991)