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Marco Cobianchi presenta da MelBookStore "Mani bucate"

Marco Cobianchi

Novara - Venerdì 18 novembre il giornalista di 'Panorama' Marco Cobianchi presenta il suo ultimo libro "Mani bucate" edito da Chiarelettere. L'incontro si tiene alle 18 nella libreria MelBookStore in corso Italia a Novara. A moderare l'appuntamento ci sarà Roberto Conti (Corriere di Novara). 

Scrive Marco Cobianchi su http://blog.panorama.it: "L’obiettivo è ambizioso: «salvare l’Italia». Gli strumenti per raggiungerlo sono impegnativi: taglio delle pensioni, taglio della spesa pubblica, vendita del patrimonio statale, riduzione delle tasse su imprese e lavoratori. Il pulpito da dove arriva il più prestigioso: la Confindustria per bocca del suo più alto rappresentante, il presidente Emma Marcegaglia, che ha illustrato, all’assemblea degli industriali toscani, la manovra come l’avrebbe fatta lei. Una ricetta più che condivisibile, soprattutto nella parte che riguarda il taglio della spesa pubblica improduttiva, compresa quella destinata a sostenere la politica. Solo che nel capitolo della spesa pubblica improduttiva c’è una voce che Marcegaglia, coerentemente con i suoi predecessori, non ha citato ed è quella che riguarda gli aiuti di stato alle imprese private. Aiuti concessi sotto forma di sussidi, soldi a fondo perduto, incentivi, sgravi e sconti fiscali. Pensare che non lo abbia fatto perché anche le sue industrie beneficiano del diluvio di soldi pubblici alle aziende private è un sospetto legittimo. Che i sussidi alle imprese, in Italia, siano inutili lo certificano decine di università, le sezioni regionali e quella centrale della Corte dei conti, rapporti comunitari, centri studi indipendenti. Ma il giudizio definitivo l’ha pronunciato Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia e prossimo presidente della Bce. Nel 2009, pochi mesi dopo che Marcegaglia stessa aveva chiesto al governo «denari a sostegno delle imprese che siano veri, certi e che arrivino subito», Draghi disse una frase che dalle parti di Viale dell’Astronomia devono avere rimosso: «I sussidi alle imprese sono stati generalmente inefficaci: si incentivano spesso investimenti che sarebbero stati effettuati comunque; si introducono distorsioni di varia natura penalizzando frequentemente imprenditori più capaci. Non è pertanto dai sussidi che può venire uno sviluppo durevole delle attività produttive». Non male, vero? A supporto di questa affermazione ci sono centinaia di numeri, diagrammi, percentuali. Ne basti uno solo: tutti i sussidi alle imprese impiegati nel Mezzogiorno hanno fatto crescere il pil del Sud di appena lo 0,25 per cento rispetto a una crescita tra lo 0,6 e lo 0,9 per cento fatta registrare dalle aree depresse degli altri paesi europei. Da questi fallimentari numeri parte l’inchiesta sulle imprese sussidiate dallo Stato che mi ha indotto a scrivere Mani bucate (Chiarelettere), il primo libro che fa nomi e cognomi delle aziende private che incassano decine di miliardi di euro ogni anno elargiti dalla Ue, dallo Stato e dalle amministrazioni locali. Il risultato non è solo che dalla Fiat alla Pirelli, dalla Saras dei Moratti alla Stm, dall’Olivetti alla Telecom, dalle banche alla borsa, dall’editoria al tempo libero, dall’agricoltura fino allo spettacolo non esiste un solo comparto industriale che non goda di aiuti di stato sotto le forme più varie, ma soprattutto che gli industriali italiani non sono stati capaci di mettere a frutto i soldi che lo Stato mette a loro disposizione attraverso qualcosa come 1.400 leggi tra nazionali e regionali che permettono a qualsiasi impresa, del Nord o del Sud, grande o piccola, in crisi o in perfetta salute, di succhiare soldi dalla mammella pubblica. E così si scopre che, per esempio, lo stabilimento di Termini Imerese della Fiat è stato sussidiato (insieme con quello di Pomigliano d’Arco) con 10,3 milioni nel 2005; con una parte dei 300 milioni destinati all’occupazione del Sud nel 2009 e con altri 46,3 milioni sempre nel 2009, anche se ciò non ha impedito al Lingotto di chiuderlo e allo Stato di agevolarne la riconversione assicurando alla molisana Dr Motor Company 178 milioni di euro pubblici perché lo rilevasse insieme ad altre due imprese minori. Anche al Nord i soldi alle imprese non sono mai mancati e non solo agli stabilimenti della Fiat o della Pirelli. Basti dire che non c’è praticamente vino piemontese che non sia stato sussidiato e che i soldi pubblici sono serviti per costruire decine di skilift sulle pendici delle montagne venete, trentine e lombarde. O che le aziende in testa alla classifica di quelle beneficiate dai sussidi per la produzione di energia elettrica verde sono nel Settentrione. Il problema è che nessuno, nemmeno la Confindustria, ha mai quantificato a quanto ammontino annualmente le risorse «vere» che dalle casse dello Stato passano ai portafogli degli imprenditori. Tantomeno è in grado di farlo lo Stato, immobilizzato da una burocrazia di fronte alla quale anche i magistrati della Corte dei conti hanno dovuto arrendersi. Gli unici dati ufficiali riguardano i fondi europei. Nel 2008 le aziende hanno incassato 5,8 miliardi saliti a 9,5 miliardi nel 2009, mentre per il 2010 il ministero dello Sviluppo economico non ha ancora pubblicato alcun dato (perché?). Ma i soldi provenienti dalla Ue sono una parte (addirittura trascurabile) del tutto, perché la sola legge 488, quella conosciuta per avere fatto piovere sul sistema imprenditoriale italiano aiuti «a pioggia», costa da sola alle casse pubbliche più di 1 miliardo l’anno. La legge 808/85 destinata a finanziare la filiera aeronautica costa un altro miliardo l’anno, mentre le leggi per gli sgravi fiscali al Sud ne costano ogni anno quasi 2. In effetti le leggi che garantiscono sconti fiscali alle aziende sono talmente numerose che non solo rendono il pagamento delle imposte da parte delle imprese un caso (o una svista) ma hanno la conseguenza che il 70 per cento delle entrate fiscali del Paese è garantito dalle tasse pagate da dipendenti e pensionati. Le leggi sugli sgravi fiscali per la ricerca e lo sviluppo sono interessanti anche per un altro motivo: sono esattamente quelle che Marcegaglia continua insistentemente a chiedere al governo. Ma servono? La Banca d’Italia ha condotto uno studio concludendo che gli effetti di questi sgravi sull’innovazione sono «nulli». È il caso di ripeterlo perché raramente gli economisti di via Nazionale si lanciano in giudizi così netti: gli effetti degli sgravi alle imprese per incentivarle a investire in ricerca e sviluppo sono nulli. Che oggi si torni a chiederli dovrebbe fare pensare. E dovrebbe anche fare pensare il fatto che proprio la Confindustria, che chiede di ridurre la spesa pubblica dello Stato, ha di fatto bloccato una seria revisione degli incentivi più ricchi del pianeta, quelli alle imprese che producono energia elettrica «verde» che costeranno 6 miliardi nel 2011, prelevati direttamente dalle bollette degli italiani. Se Marcegaglia avesse voluto aumentare la capacità di spesa degli italiani, avrebbe potuto semplicemente sostenere il tentativo (invero un po’ pasticciato) del ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani di ridurre drasticamente questi prelievi. Non lo fece. Sarà forse perché le industrie Marcegaglia incassano, proprio grazie a queste tariffe, circa 20 milioni di euro per l’impianto di Massafra in Puglia? Prima di «salvare l’Italia» la Confindustria dovrebbe spiegare come mai gli stanziamenti pubblici alle imprese hanno prodotto risultati che definire ridicoli è un eufemismo. Facile fare i liberali con i soldi degli altri. E «salvare l’Italia» con le tasse degli italiani".