Novara - Teatro, lotta al Bullismo, Sport, Solidarietà. Va in scena Domenica 27 Marzo 2022 alle 16 (con repliche per le scuole Lunedì 28 alle 9.00 e alle 11.30) Un bullo in maschera, ovvero l’Opera nel Pallone. La nuova opera, commissionata e prodotta da Fondazione Teatro Coccia, dedicata al pubblico della Famiglia e inserita all’interno del progetto Chi ha paura del Melodramma? a cura di Alberto Jona.
Il titolo allude al repertorio operistico classico, ma i toni presi in considerazione sono decisamente più moderni e, all’occorrenza, informali. La storia rimanda alla trattazione di un argomento molto delicato e attuale, quello del bullismo, che tocca da vicino l’universo infantile e adolescenziale. Un tema, questo, che ha ricevuto attenzione specifica in epoca recente. Qui lo si affronta in un’ottica totalmente nuova, musicale, destinate a risultare leggera nella forma, ma non per questo superficiale. Svelare al pubblico dei più giovani il mondo dell’opera, con il suo codice privilegiato, le sue irrinunciabili convenzioni e i suoi piccoli riti. Se l'argomento al centro della storia, spicca per attualità, ancor più originale sembra essere il contesto all'interno del quale la vicenda viene calata dagli autori. "Un bullo in maschera" è, infatti, la prima opera lirica ambientata nel mondo del calcio, volendo offrire al pubblico - non solo quello dei ragazzi - uno scenario che sia riconoscibile e popolare, così da amplificare risonanza e impatto del messaggio veicolato.
L’opera e il progetto si avvalgono però di nuovi e altrettanto importanti significati. Il 27 Marzo infatti si celebra anche la Giornata Mondiale del Teatro (per la prima volta in presenza dopo due anni di chiusura), la Fondazione Teatro Coccia ha deciso quindi di destinare gli incassi della recita di Domenica al Fondo Emergenza Ucraina, costituito presso la Fondazione Comunità Novarese onlus.
L’opera è scritta da Federico Gon su libretto di Stefano Valanzuolo, la regia è di Alberto Jona (che firma anche il disegno luci con Ivan Pastrovicchio), scene e costumi di Matteo Capobianco, la direzione d’orchestra è affidata a Margherita Colombo. Un cast vocale di giovani selezionati tra gli allievi di Accademia dei Mestieri dell’Opera del Teatro Coccia - AMO (Giuseppe Matteo Serreli, Yuxiang Liu, Yo Otahara) e Scuola del Teatro Musicale - STM che schiera in campo gli interpreti Francesco Califano, Samuele Bazzi e i propri allievi come coristi e comparse, collaborando così di fatto nella produzione dello spettacolo. In buca l’Ensemble del Teatro Coccia. Immancabile poi la presenza di Leonardo Pesucci che vestirà i panni del Bianconiglio, personaggio cardine del progetto Chi ha paura del Melodramma?
Racconta Stefano Valanzuolo, autore del libretto “La miscela originale e inedita di sport, musica e indagine sociale - resa attraverso un linguaggio apparentemente tradizionale ma, nella pratica, fitto di riferimenti contemporanei - si presta inevitabilmente a diversi livelli di fruibilità: tocca in via diretta la sensibilità degli spettatori più giovani ma riesce a fornire anche ad una platea di melomani non casuali l'opportunità di giocare, per esempio, con le citazioni musicali di cui è ricco il racconto. Un gioco, insomma; ecco come va considerato "Un bullo in maschera". Un divertissement, certo, che parla di cose serissime ma si propone di farlo senza inutili appesantimenti, confondendo gli schemi dell'opera con quelli affascinanti del calcio, come in un magico percorso di scatole cinesi che mescoli forme di arte e di spettacolo diverse con un’unica finalità educativa, non equivocabile. La trama del "Bullo", semplicissima, si snoda attraverso due piani narrativi. Quello del presente, ossia della realtà, rimanda alle vicende di un gruppo di aspiranti calciatori, sospesi tra la voglia di successo, incomprensioni, eccessi e successi accarezzati. Quello della finzione, ossia del racconto. Ci sono tutti i personaggi del melodramma classico, ma ognuno di loro viene ridisegnato, qui, per assomigliare quanto più possibile, in fondo, ai protagonisti di oggi. Come a ribadire che l'opera lirica non è terreno esclusivo di dei ed eroi, ma semplicemente parla di ciò che ci stia a cuore. E la storia del “Bullo”, alla fine, resta un bel pretesto per mostrare al pubblico come in musica si possa trattare ogni argomento, fin anche quello più delicato, col tocco lieve e serio chi sappia giocare”.
Sull’aspetto musicale interviene Federico Gon “Un bullo in maschera è un'opera che mette insieme due cose meravigliose (la musica e il gioco del calcio) per tentare di illustrare come sia possibile contrastare, viceversa, una pessima (il bullismo). L'opera, partendo da queste premesse, è ricca di citazioni letterarie e musicali provenienti dal repertorio melodrammatico (e non solo), inserite nel conteso della vicenda con l'intento di sviluppare un'ulteriore azione nei confronti del giovane pubblico: il coinvolgimento nelle forme, gli usi e gli stilemi tipici dell'opera lirica. Nell'opera ci sono costanti riferimenti a musica proveniente dall'ambito calcistico, come i più famosi cori da stadio (chi di noi non ha mai cantato una volta nella vita "Alè oh oh! Alè oh oh!"?), o la sigla della Champions League (vera overture che apre lo scrigno della felicità per ogni appassionato) o ancora celebri incisi divenuti nel tempo emblema musicale di manifestazioni sportive e calcistiche. Il tutto per dare alla vicenda non solo un tocco di realtà, ma anche una diretta partecipazione emotiva del pubblico in sala”.
Come il tutto avverrà in scena lo spiega il regista Alberto Jona “Un bullo in maschera di Federico Gon e Stefano Valanzuolo ha la particolarità di riuscire a intrecciare in modo intelligente, spiritoso e stimolante temi di notevole interesse giovanile come il calcio, il bullismo e il cinema, con il melodramma, genere teatrale di non immediata fruizione per il pubblico più giovane, a cui Gon avvicina con leggerezza e ironia. L'opera di Gon e Valanzuolo è una sorta di romanzo di formazione, un racconto che un adulto, ormai affermato allenatore di calcio, fa a due giovani, un bulletto e un bullizzato, per portarli alla consapevolezza di sé. Ha un inizio nel presente, in un campetto da calcio quasi improvvisato dove un gruppo di adolescenti organizza una partita ed esclude e bullizza un compagno, e un tempo passato, che è quello del racconto esemplare che porta alla presa di coscienza. Credo che un regista nell'affrontare un'opera contemporanea in prima assoluta debba rispettare le indicazioni del librettista e del compositore, lo spazio e il tempo. Diverso e più complesso è il rapporto con il repertorio operistico tradizionale, che il pubblico già conosce, in cui il regista può permettersi una lettura più personale, un approccio meno canonico. In una prima assoluta contemporanea il regista deve più che mai essere al servizio della composizione e dell'opera nella sua totalità, per restituire al meglio il pensiero del compositore e del librettista e, attraverso ovviamente il proprio immaginario, dare loro realtà e vita. Lo spazio scenico ha per me una fortissima valenza narrativa, per cui ho immaginato con lo scenografo Matteo Capobianco, un'agile struttura girevole, azionate dalle stesse comparse, che provi a visualizzare scenicamente lo scorrere del tempo, così importante nell'opera. La scena girevole visualizza ora il presente ora il passato attraverso un gioco di colori, forti e affermativi per l'oggi, e invece monocromatici (virati sulla palette del blu) per il passato, questo per visualizzare il passare del tempo che nella narrazione si sposta più volte fra presente e passato. Molte le tecniche cinematografiche che ho pensato di proporre, reinventate teatralmente, rallenti, piano sequenza, moviola, grazie agli stimoli del libretto che, come in Sliding doors, ribalta determinate situazioni e immagina altri possibili sviluppi della vicenda, fermandola e tornando indietro agli snodi cruciali. Stessa cosa per il codice scenico: da una parte una gestualità naturalistica, contemporanea e dall'altra, nel momento in cui si entra nella stilizzazione del melodramma, la gestualità scenica tipica dell'opera. Con discrezione e parsimonia per non sovraccaricare la narrazione, mi piacerebbe che il gioco scenico ricreasse in poche determinate situazioni l'anti-naturalismo del melodramma: ora il gioco in controluce alla Jean Pierre Ponnelle (Cenerentola di Rossini, “Questo è un nodo rintrecciato” per intenderci) ora la gestualità retorica ottocentesca evocata da Luchino Visconti in Senso. Infine per mettere in scena il calcio ho pensato a una stilizzazione anche qui anti-naturalistica che racconti lo sport in modo inaspettato, senza “gareggiare” mai con cinema e televisione. L'idea è quella di utilizzare alcune tecniche del teatro di figura, come quella del Bunraku giapponese: figuranti vestiti di nero animeranno e aiuteranno il movimento dei cantanti in determinati momenti (il tuffo per parare un gol, per esempio) ottenendo così un effetto di quasi rallentatore. E tutto questo si svolgerà in un piazza di una città prospiciente un campo da calcio in un certo senso “sottinteso”, cioè immaginato nella platea del teatro verso cui i protagonisti e i giovanissimi tifosi si rivolgeranno, gesticoleranno o canteranno, facendo sì che il pubblico sia coinvolto automaticamente essendo in qualche modo “in campo” anche lui. L'opera di Gon e Valanzuolo mentre ci canta di bullismo e di calcio, ci porta in modo divertito nel mondo del melodramma, nel suo codice e nei suoi vezzi, attraverso un accattivante e spiritoso uso di materiali operistici, Verdi, Bellini, Donizetti o Mozart, mischiati con la musica attuale e il pop. Un gioco musicale in qualche modo alla Kurt Weill che nel suo caso utilizzava materiali non colti ma facili e orecchiabili per far arrivare un nuovo messaggio. Questo mix di linguaggi immediati e insieme colti, questo gioco di citazioni che può anche non esser colto ma non per questo perde la sua efficacia e il suo senso, ho pensato di tradurlo visivamente attraverso l'ingresso in scena dei personaggi che vengono esplicitamente evocati in partitura e nel libretto; ecco dunque Violetta, Filippo II o ancora Orfeo entrare in scena per interagire con i protagonisti dell'opera, suggellando così questo connubio fra presente e passato, fra impegno e gioco, fra realtà e finzione”.