Novara - Il blocco delle esportazioni europee di bovini e di carni, soprattutto da Polonia, Spagna, Irlanda e Francia, con il sistema produttivo europeo che è andato sostanzialmente in sovrapproduzione di carni, ha portato il mercato a cercare sbocchi all’interno dell’Ue ed, in particolare, in Italia, a discapito della carne italiana e piemontese che è in sofferenza. E’ quanto emerge da un’indagine Ismea che fotografa la situazione difficile che vive oggi il comparto della carne bovina.
La conseguenza è che circa 120 mila tonnellate di carne bovina non italiana, ovvero oltre 300 mila capi, viene venduta in Italia sugli scaffali della GDO. “Stiamo sostanzialmente mangiando carne che era destinata al mercato extra Ue, probabilmente al nord Africa, di qualità ben inferiore a quella che è la razza Piemontese e a quella allevata in Piemonte che viene controllata e tracciata per dare al consumatore garanzia di salubrità. E’ una vergogna che, alla luce anche delle sofferenze che il comparto sta subendo, dovute alla crisi della ristorazione e del canale Ho.Re.Ca., quello legato a hotel e ristoranti, causata dall’emergenza Covid, la GDO venda tutta questa carne straniera sugli scaffali, senza valorizzare la nostra”, spiegano Sara Baudo e Paolo Dellarole, presidenti di Coldiretti Novara – Vco e Vercelli – Biella.
In Piemonte la filiera bovina, ed in particolare la razza Piemontese, fiore all’occhiello della produzione regionale, conta 800 mila capi e circa 7 mila aziende. La Piemontese, infatti, con oltre 315 mila capi ed un fatturato che arriva a 500 milioni di Euro capi, rappresenta la principale razza da carne, oltre ad essere la prima razza autoctona a livello nazionale per numero di capi allevati, raggiungendo il 50% del patrimonio delle razze autoctone italiane da carne.
“Un appello alla GDO che avevamo già fatto durante il lockdown, anche sulla scia della campagna lanciata da Coldiretti #MangiaItaliano, ma che evidentemente preferisce ignorare solo per mere logiche legate al prezzo piuttosto che puntare alla qualità di carni di razza Piemontese e di capi allevati in Piemonte. Alla luce di tutto questo, è fondamentale che i consumatori, per compiere una vera scelta consapevole, leggano attentamente l’etichetta dei prodotti che acquistano da portare in tavola. Non possiamo dimenticare che la razza Piemontese ha ottenuto l’Igp per il Vitellone Piemontese dalla Coscia e che testimonia una tradizione alimentare unica, oltre a tutelare un grande patrimonio dal punto di vista della biodiversità, dell’ambiente e dell’economia”, concludono Baudo e Dellarole.
I due presidenti esprimono anche preoccupazione in riferimento al voto del Parlamento europeo, che si sta svolgendo in queste ore, sull’abolizione del divieto di definire carne qualcosa che non arriva dal mondo animale, ma che nasce invece da un mix di sostanze vegetali, spezie, coloranti ed esaltatori di sapore. “Da uno studio realizzato su dati Eurispes si è compreso che i prodotti di carne “finta” rischiano di ingannare più di 9 italiani su 10 (93%) che non seguono un regime alimentare vegetariano o vegano e ciò non è corretto. Inoltre, permettere a mix vegetali di utilizzare la denominazione di “carne” significa favorire prodotti ultra-trasformati con ingredienti frutto di procedimenti produttivi molto spinti e dei quali, oltretutto, non sempre si conosce la provenienza della materia prima, visto che l’Unione Europea importa ogni anno milioni di tonnellate di materia prima vegetale da tutto il mondo. L’emergenza globale provocata dal Coronavirus ha fatto emergere una consapevolezza diffusa sul valore strategico rappresentato dal cibo e sulle necessarie garanzie di qualità e sicurezza che vanno tutelate anche dall’utilizzo di nomi o definizioni fuorvianti per i consumatori in un momento così delicato per la vita delle famiglie e per l’economia dell’Italia e dell’Europa. Le principali organizzazioni agricole europee hanno quindi lanciato la campagna “Questa non è una bistecca”, per segnalare che il marketing delle imitazioni può creare confusione sui valori nutritivi dei prodotti. Il dibattito sulla denominazione della carne non è un attacco ai prodotti vegetali, ma è una battaglia per la corretta informazione al consumatore”, spiegano Baudo e Dellarole.