Novara - L’aumento dei costi delle materie prime e dei carburanti rischia di contrastare gli effetti della ripresa economica, anche se in modo non uniforme tra le diverse categorie di imprese e nei territori dell’area Piemonte Nord (province di Novara, Vercelli e VCO). In che modo e con quali effetti è quanto ha cercato di capire CNA attraverso l’ultima indagine Monitor Piccole Imprese, curata dal professor Daniele Marini, docente di sociologia dei processi economici all’Università di Padova e direttore scientifico di Research&Analysis Community, oltre che responsabile scientifico del progetto Monitor Piccole Imprese di CNA Piemonte, realizzata in collaborazione con UniCredit nel gennaio scorso.
APPROVVIGIONAMENTO MATERIE PRIME - Quest’ultima indagine ha rilevato tra le imprese associate a CNA con sede in Piemonte i rincari relativi ai costi delle materie prime, compresi i carburanti, nel 1° semestre del 2021 rispetto al secondo semestre 2020. Per quanto riguarda l’area Piemonte Nord, se il campione complessivo dichiara per l’80,5% di avere subito aumenti, solo il 17,8% che i costi sono stabili e l’1,7% che sono addirittura in diminuzione, con sensibili differenze tra i tre territori. Le imprese che hanno sede nella provincia di Novara dichiarano aumenti nell’80,9% dei casi, 19,1% stabilità e nessuna la diminuzione dei prezzi; Vercelli segue con l’80% che segnala aumenti, il 13,3% dichiara stabilità mentre il 6,7% la diminuzione. Il VCO è il territorio messo meglio da questo punto di vista, secondo gli imprenditori intervistati: il 76,5% dichiara aumenti, il 22,3% dice che i prezzi sono stabili mentre l’1,2% che sono diminuiti. L’indagine offre uno spaccato anche tra i diversi settori produttivi. Il settore edile è infatti quello che più degli altri denuncia l’aumento dei costi (90%), seguono il manifatturiero con una percentuale dell’85,6% delle imprese e per finire il terziario con il 71%.
AUMENTO DEI COSTI ENERGETICI - L’Indagine Monitor ha voluto misurare anche l’entità degli aumenti dei costi dell’energia, con un confronto tra il 2019 e il 2021. Per le imprese che hanno partecipato all’indagine CNA nella media dei dodici mesi 2021 gli aumenti delle bollette risultano molto più marcati: rispetto al 2019 gli incrementi risultano infatti compresi tra il +18,6% nella filiera del turismo e il +33,1% nel settore delle costruzioni.
INCREMENTO DEL COSTO DEL PRODOTTO FINITO - Diversa è la reazione delle imprese nel gestire la propria politica dei prezzi. Nonostante il costo degli approvvigionamenti sia aumentato per una quota rilevante, non tutte hanno scaricato il costo sul cliente finale ma hanno bensì deciso di assorbire tale aumento, rinunciando a una quota di utili. Le imprese che intendono ritoccare i listini al rialzo sono il 62,8% nella manifattura e il 54,4% nelle costruzioni; il 77,5% ritiene che l’aumento del costo dell’energia possa determinare una riduzione dei margini di guadagno. Il 10,6% invece pensa di ridurre la produzione mentre il 6,8% prevede di sospendere l’attività; il 37% infine intende rinviare gli investimenti programmati.
Nel dettaglio, nell’area Piemonte Nord il 53,8% intende aumentare il costo del proprio prodotto, 43,8% lo manterrà stabile, il 2,4% prevede la diminuzione; nel Novarese aumento previsto dal 55,8% delle imprese, stabile per il 42,4%, diminuzione per l’1,8%; nel VCO 47,1% in aumento, stabile il 51,7%, diminuzione per l’1,2%; a Vercelli aumento previsto per il 57,1% delle imprese; stabilità dei prezzi per il 35,8%, diminuzione per il 7,1%.
CONSEGUENZE DELL’AUMENTO DEL PREZZO DELL’ENERGIA - La portata dell’aumento del prezzo dell’energia pagato dalle imprese potrebbe concorrere ad alimentare le pressioni inflazionistiche in maniera significativa nel 2022. Il 53% delle imprese crede infatti di trasferire i rincari sui prezzi dei loro prodotti. Di queste, il 44,7% intende farlo in misura parziale, l’8,4% interamente.
La più alta incidenza della spesa per le materie energetiche sui costi totali riguarda in particolare le imprese manifatturiere, mentre il rincaro dei beni intermedi sta interessando soprattutto il settore delle costruzioni, alle prese anche con la scarsità dei prodotti intermedi e dei semilavorati.
A questo proposito è probabile che nel settore delle costruzioni (che ha registrato una forte espansione nel 2021) il 17,6% delle imprese che dichiara di volere traslare interamente i rincari sui prezzi di vendita sia costretta a farlo anche a causa delle difficoltà di approvvigionamento.
La preoccupazione manifestata dal sistema produttivo nei riguardi dei rincari energetici, che molto spazio ha trovato nei media, è confermata dalle indicazioni delle imprese intervistate. Tra queste, infatti, solo il 5% immagina che l’impennata dei prezzi dell’energia non avrà effetti significativi sulla propria attività.
Il 77,5% ritiene invece che l’aumento del costo dell’energia possa determinare una riduzione dei margini di guadagno. Si tratta di un dato preoccupante considerando che la ripresa registrata nel 2021, pur significativa, non è stata sufficiente in molti settori a ripianare le perdite determinate dalla recessione innescata dalla pandemia.
Il resto del campione si divide tra quanti pensano di dovere ridurre la produzione (10,6%) e quanti paventano addirittura il fermo dell’attività (6,8%).
Rispetto alla media del campione, il timore di una diminuzione dei profitti appare più diffusa nel commercio (85,9%) e nei servizi per la persona (79,2%). Si tratta di quei settori che più di altri hanno subito le restrizioni sociali necessarie per contrastare la pandemia (le attività commerciali sono state spiazzate dalla forte diffusione delle vendite on-line mentre i servizi per la persona, che comprendono estetisti e parrucchieri, sono stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire).
La possibilità di dovere ridurre la produzione è presa in considerazione soprattutto dalle imprese manifatturiere (13,4%) che, come detto, sono quelle con consumi energetici mediamente più alti. Il fermo dell’attività è infine una eventualità considerata soprattutto dalle imprese operanti nella filiera del turismo (24%).
Le imprese sono intenzionate a intraprendere iniziative per mitigare gli effetti negativi derivanti dal caro-bollette.
La riduzione delle spese correnti (diverse da quelle attinenti all’acquisto dei prodotti energetici) è l’azione di contrasto maggiormente richiamata dagli intervistati (43,6%) insieme ad un più frequente aggiornamento dei listini (42%). Rilevante appare poi la quota di imprese che intende rinviare gli investimenti programmati (37%). Le azioni appena citate rappresentano evidentemente interventi di rapida attuazione, posti in essere per tamponare immediatamente l’emergenza.
Meno diffuse appaiono invece le azioni di natura strutturale. Le imprese che dichiarano di volere investire in tecnologie per l’efficientamento energetico sono infatti il 19,2% del totale, quelle che invece pensano di dovere ridurre gli organici e/o il monte salari sono rispettivamente il 10,8% e il 7,6% del campione.
Questo il quadro generale. A livello settoriale però le risposte delle imprese risultano piuttosto eterogenee.
La riduzione delle spese correnti diverse dall’energia è una strategia che risulta diffusa soprattutto nel settore dei trasporti (53,6%). Si tratta di un dato non sorprendente considerando il forte peso dell’energia stessa (in questo caso i combustibili per autotrazione) sul totale dei costi aziendali.
La manifattura è invece il settore dove si intende contrastare il caro energia con un mix di interventi. Da un lato, infatti, circa la metà delle imprese (il 50,8%) contempla la possibilità di aggiornare frequentemente i listini. Dall’altro, data la consapevolezza di operare in condizioni di forte concorrenza (molte imprese manifatturiere rivolgono la loro offerta anche oltre confine), appare molto consistente la quota di rispondenti che pensa di reagire al caro-bolletta rinviando al futuro investimenti già programmati (41%).
Le scelte più drastiche, che implicano un ridimensionamento strutturale delle attività svolte, sono segnalate con maggiore frequenza nei settori che hanno riportato le maggiori perdite durante la recessione. Tra questi spicca la filiera del turismo dove molto consistente è la quota di imprenditori che crede di dovere licenziare (24%) e/o ridurre il costo complessivo delle retribuzioni/compensi (19,8%).
IL COMMENTO DI CNA PIEMONTE NORD - “Il quadro che emerge dalla rilevazione – commenta il direttore CNA Piemonte Nord Marco Pasquino – offre un panorama diverso da qualche mese fa, quando l’atteggiamento delle imprese era all’insegna dell’ottimismo e della crescita. Oggi purtroppo a prevalere è il tema del rallentamento. Gli elementi più significativi e preoccupanti sono il calo dei consumi e l’aumento dell’inflazione che stiamo registrando nelle ultime settimane, con un forte impatto sullo stato d’animo degli imprenditori ma anche dei cittadini”.
“Nel rapporto fra costi di approvvigionamento e definizione dei prezzi finali – sottolinea il presidente CNA Piemonte Nord Massimo Pasteris – non esiste una correlazione simmetrica perché le piccole imprese e gli artigiani stanno cercando di contenere il rincaro dei prezzi finali, rinunciando a parte dei propri margini di guadagno. Questa è una scelta che impatta meno sulle aziende più strutturate che hanno diversità di produzione, mentre non è possibile per altri settori, come l’edilizia. Non è pensabile però che questi rincari spropositati siano a carico delle imprese. E’ più che mai necessario in questo momento così delicato che l’attenzione del Governo sia impegnata a introdurre misure di contrasto all’aumento dell’inflazione, per superare questi elementi fortemente critici che rischiano di vanificare gli effetti della ripresa economica”.