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In Piemonte 79mila imprese artigiane sotto attacco del lavoro sommerso

Torino - Nell’artigianato in Piemonte, circa 79mila imprese, il 65,8% di quelle registrate nelle Camere di Commercio, sono quotidianamente sotto attacco da parte di “aziende fantasma”, con un tasso effettivo di lavoro non regolare che raggiunge l’11%. Con questi numeri il Piemonte si posiziona all’undicesimo posto della classifica nazionale. Sono questi i dati del dossier “Artigianato esposto alla concorrenza sleale del sommerso in Piemonte”, elaborato dall’Ufficio Studi di Confartigianato Piemonte, su dati ISTAT 2017. Costruzioni, autoriparazione, produzione di beni, somministrazione di servizi alla persona, trasporti, alloggio, ristorazione e agricoltura sono i settori maggiormente esposti alla concorrenza sleale del sommerso anche se nessuna professione più dirsi immune dagli attacchi dell’irregolarità aziendale.

“La contraffazione, l’abusivismo, il lavoro nero – commenta Giorgio Felici Presidente di Confartigianato Imprese Piemonte – sono tante facce di un fenomeno che colpisce l’economia, i consumatori e svilisce il made in Italy. Non significa solo minor reddito per gli imprenditori onesti, ma anche migliaia di posti di lavoro in meno per i nostri giovani, ricchezza che alimenta organizzazioni malavitose, rischi per la salute e riduzione delle entrate fiscali che poi devono essere compensate dai contribuenti onesti. Confartigianato Imprese Piemonte, è da sempre in prima linea per contrastare con ogni mezzo questo fenomeno, promuovendo una più efficace legislazione a tutela di imprese e consumatori”.

A Torino sono ben 40.745 le imprese artigiane maggiormente esposte alla concorrenza sleale; segue Cuneo con 11.618; Alessandria 7.106; Novara 6.114; Asti 4.050; Biella 3.286; Vercelli 3.087 e Verbania 2.771. In Piemonte, il settore più colpito, come è noto, è quello delle costruzioni dove il sommerso concorre slealmente con 50.140 aziende artigiane (63,6% del totale delle esposte). Seguono i servizi alla persona con 15.913 (20,2%), i trasporti e magazzinaggio con 6.702 (8,5%), l’alloggio e la ristorazione con 3.448 (4,4%), i servizi di informazione e comunicazione con 1.077 (1,4%), l’agricoltura e la pesca con 769 (1%), l’autoriparazione con 377 (0,5%), l’istruzione con 179 (0,2%), lafabbricazione di prodotti chimici con 123 (0.2%) e l’industria estrattiva con 49 (0,1%).

“Il sommerso, l’abusivismo e l’illegalità che contraddistinguono l’economia sommersa rappresentano un grave fenomeno di concorrenza sleale –sottolinea Felici– che costringono le imprese regolari a chiudere, perché non riescono a far fronte alla concorrenza e ai costi che un’impresa, regolarmente iscritta, deve affrontare. Purtroppo la crisi che stiamo attraversando sta accentuando questo fenomeno – continua Felici – c’è chi fa il doppio lavoro, chi percepisce la cassa integrazione o è in mobilità ma il fenomeno più grave riguarda chi decide di chiudere bottega e lavorare a casa per non essere sommerso dalle tasse. Ma chi si sottrae alle tasse opera senza rispettare le leggi, assottigliando il gettito alle casse dello Stato e minacciando al tempo stesso la sicurezza dei consumatori.”

“Siamo anche preoccupati –chiosa Felici– per l’effetto che potrebbe scaturire dal reddito di cittadinanza. Pensiamo infatti che, quando sarà a pieno regime, ci sarà un’impennata di lavoratori che si butteranno sul lavoro nero per risultare disoccupati e poter percepire il reddito”. 

“Il nostro compito come associazione datoriale –conclude Felici– è quello di tutelare gli artigiani regolari, quelli che sono quotidianamente impegnati a contrastare l’illegalità che li colpisce due volte, nel reddito e da contribuenti onesti.”

Secondo stime del 2015, l’economia sommersa nazionale avrebbe generato un valore aggiunto di circa 190milirdi di euro, pari all’11,5% del PIL, di cui ben 77 riconducibili al lavoro irregolare. Una grave minaccia per le imprese regolari dell'artigianato, deriva dall'abusivismo. Sulla base degli ultimi dati disponibili sui conti nazionali, nel 2015 sono 3milioni e 724 mila le unità di lavoro equivalenti non regolari, occupate in prevalenza (71,2%) come dipendenti, con 2 milioni e 651 mila unità, a cui si aggiunge 1 milione e 72 mila unità di lavoro equivalenti indipendente non regolari (28,8%). Si conta 1 occupato indipendente non regolare ogni 5,7 indipendenti regolari. La rilevanza del fenomeno del sommerso in Italia crea la situazione paradossale secondo cui il lavoro sommerso è maggiore di quello della Pubblica amministrazione: nel 2015 infatti le 3.723.600 le unità di lavoro equivalenti non regolari superano dell’11,6% (388.000 unità in più) le 3.335.600 le unità alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche.

Sono diversi i meccanismi attraverso cui agisce la concorrenza sleale del sommerso: le imprese che evadono possono mantenere prezzi più bassi e mettono fuori mercato le imprese regolari con analoghe funzioni di produzione; l’evasione fiscale consolida il gap tra le aliquote fiscali pagate dalle imprese in regola e le imprese che evadono, dato che il mancato gettito rende difficile politiche fiscali espansive tramite la riduzione delle aliquote fiscali che risulterebbero a vantaggio delle imprese regolari; non si amplia la dimensione delle aziende: le imprese che evadono hanno una minore propensione all’investimento e all’ampliamento del volume d’affari e nel contempo spiazzano gli investimenti delle imprese che non evadono e che non trovano redditività adeguata per l’ampliamento delle dimensioni aziendali.