Novara - L’impegno del deputato Daniele Galli per ottenere una giustizia “giusta” nei confronti del cittadino ha radici lontane: risale al 2003 la prima proposta di legge per assicurare il ristoro delle spese di giudizio all’imputato nel processo penale nel caso di assoluzione con formula piena, un principio che venne accolto come raccomandazione dall’allora ministro Castelli il 1° dicembre 2004, e finora rimasto lettera morta. Oggi lo stesso testo di legge viene riproposto, per contribuire ad un processo di riforma del sistema giudiziario quanto mai urgente. Nelle procedure civili, nel processo tributario e amministrativo e nel rito speciale del lavoro il principio di soccombenza in ordine alle spese di giudizio costituisce uno dei principi ineludibili del processo di parti, secondo il modello del “chi perde paga”; nel processo penale, se il querelante è parte soccombente, l’articolo 427 del codice di procedura penale prevedono che il querelante temerario debba rifondere, se l’imputato è assolto con formula piena, le spese anticipate dallo Stato o anche di quelle sostenute per la difesa. Accade invece che nei reati per cui si procede d’ufficio, chi accusa qualcuno di un delitto ha il potere di affliggerlo con atti e comportamenti solitamente riservati a chi è già stato giudicato colpevole, negando un giusto rimborso almeno delle spese processuali nel caso in cui l’innocenza venga pienamente dimostrata ed avallata da una sentenza. “Si intende estendere il concetto di “parte soccombente” al processo penale ed alle figure dei P.M. indipendentemente dal loro diligente procedere o da loro palesi inadeguatezze di valutazione o che portano ad un dibattimento che si conclude con assoluzione dell’imputato se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato – spiega Galli – Secondo le statistiche, circa il 70% dei processi non aveva ragioni per essere celebrato e si risolve con assoluzioni. Troppi cittadini vengono accusati di reati anche gravi, e subiscono un calvario che si ripercuote sulle condizioni morali, familiari ed economiche per poi risultare innocenti. Senza nemmeno le scuse per l’errore, in nome dell’obbligatorietà dell’azione penale si invalida per anni la vita di un innocente: che almeno gli si riconosca il ristoro delle spese. Questo il senso della proposta di modificare l’articolo 530 del codice di procedura penale, un semplice ma importante passo verso una giustizia più “giusta”.