Cameri - Biciclettata e picnic contro gli F-35 a Cameri. L'organizza domenica 5 maggio il Movimento No F-35 Novara ed è supportata dalla sezione locale del MoVimento 5 Stelle e dal senatore Martelli. Il ritrovo è fissato alle 10,30 in piazza Garibaldi (Stazione F.S.) a Novara; quindi si parte in direzione dell'aeroporto militare di Cameri.
"Si può dire senza tema di smentita - scrivono i promotori di questa iniziativa - che finalmente, dopo più di cinque anni di movimento contro la costruzione e l'acquisto dei cacciabombardieri F-35, il tema delle spese militari abbia acquistato un minimo di rilievo nella discussione pubblica. Dobbiamo ringraziare una crisi economica devastante, che ha provocato l'accresciuta consapevolezza di parte della popolazione italiana: una parte non più insignificante dal punto di vista statistico, ma che anzi rischia di diventare maggioranza, seppure ancora poco rumorosa e piuttosto inerte di fronte al problema percepito. I gruppi e le associazioni, che a Novara e dintorni hanno avviato una critica attiva dei modelli di difesa del nostro paese, hanno percepito il problema a partire da una questione apparentemente singolare e di portata ridotta: l'acquisto di un nuovo sistema d'arma intrapreso per avvicendare e rammodernare macchine obsolete. Quante volte nel passato remoto o prossimo si sono verificate evenienze di questo genere? Quante volte i movimenti pacifisti hanno concentrato l'attenzione su questo aspetto della politica statale? Forse, nel caso del movimento che si è opposto, a partire dal 2006, agli F-35, si può dire che si tratti di un'occasione piuttosto nuova e di modalità originali di critica dei rapporti di forza esistenti all'interno della comunità statale nella quale siamo inseriti. Infatti, per lo più, i movimenti d'azione pacifisti ed antimilitaristi si sono concentrati, nel passato, su pratiche di contrasto di questo o di quel conflitto, oppure su temi generalisti, come, per esempio, l'obiezione fiscale riguardo alla spesa pubblica destinata al funzionamento della macchina militare nel suo complesso. Molti di noi hanno fatto parte dei movimenti che negli anni '90 del secolo scorso e nel decennio 2000 hanno lottato contro le politiche della guerra permanente: dall'invasione dell'Iraq nel 1991, alla guerra in Kosovo nel 1999, alla guerra infinita di Bush in Afghanistan ed in Iraq. Molti hanno costruito azioni di lotta e di solidarietà con il popolo palestinese, con quello curdo e con altri popoli oppressi. Molti hanno collaborato con i movimenti della provincia di Varese, che “ospita” diverse importanti fabbriche belliche (come AugustaWestland e Aermacchi, che producono e vendono elicotteri ed aerei da guerra), un Comando di reazione rapida della NATO (a Solbiate Olona) pronto a condurre operazioni difensive ed offensive anche fuori dall'area di tradizionale responsabilità della NATO. A pochi chilometri da questi luoghi, non casualmente, si trova Malpensa, aeroporto civile che però, alla bisogna, si trasforma, come già accaduto, in utile supporto logistico per interventi militari. Grazie a queste e ad altre esperienze, abbiamo capito che non è possibile opporsi alle guerre ed operare per la pace e per la giustizia se non si guarda al territorio in cui si vive, per verificare se in esso si svolgono opere a sostegno della costruzione della pace oppure complici della guerra permanente. Abbiamo dunque capito che anche Novara era, e diventava sempre più, territorio militarizzato, “abbellito” da aiuole spartitraffico che, invece di contenere fiori, contengono aerei da guerra. Certamente, in questa questa ultima occasione, la singolarità dell'accadimento, cioè della focalizzazione dell'attenzione su una singola macchina da guerra, può essere dipesa da varie circostanze. Per noi che stiamo a Novara è stato naturale concentrarci sulla questione F-35, dal momento che, proprio a pochi chilometri da noi, all'interno dell'aeroporto militare di Cameri, stanno costruendo lo stabilimento che servirà per l'opera di assemblaggio del nuovo cacciabombardiere, ma pure per la costruzione di alcuni pezzi di ali e di fusoliere. Avremo un'enorme fabbrica di morte a pochi chilometri da casa nostra: questo è il punto. La mobilitazione locale ha faticato molto a riflettersi a livello nazionale: l'opposizione su scala più ampia è cosa relativamente recente. A parte l'iniziale interessamento della rete Disarmiamoli, a parte l'opera continua della Rete Italiana Disarmo, che ha incominciato una campagna di raccolta firme già nel 2009, solo negli ultimi mesi l'opinione pubblica nazionale si è sentita interpellata davvero dalla questione. Solo da pochi mesi i mezzi di comunicazione di massa hanno dato un rilievo discreto al tema della problematicità dell'acquisto di 131 cacciabombardieri piuttosto costosi in tempi di crisi economica. Forse il prodursi di questi avvenimenti e di queste pratiche d'azione politica e sociale è da attribuirsi alla percezione, non sempre consapevole, della marginalità dei soggetti coinvolti rispetto ai veri centri di potere politico-militare. I gruppi e le associazioni che a Novara e dintorni hanno cominciato ad occuparsi di F-35 sono stati subito ben consci della loro debolezza e della loro marginalità geografica, ma anche psicologica. Subito hanno quindi cercato di trasferire il problema a livello nazionale, rifiutando, ovviamente, di lasciarsi identificare secondo il risaputo schema nimby (not in my backyard). Nessuno di noi ha mai pensato, infatti, che la costruzione di una fabbrica di cacciabombardieri potesse essere effettuata bellamente altrove piuttosto che dalle nostre parti. Non si è mai trattato di una semplice battaglia ambientalista, volta a sottrarre il parco del Ticino all'attacco delle emissioni di supercaccia in volo di collaudo; non si è trattato neppure di sottrarre l'espropriazione di un qualche territorio, dal momento che la costruzione dello stabilimento si sta verificando tutta all'interno di un'installazione militare, che già da tempo ha rubato alla comunità locale spazi che si sarebbero potuti utilizzare altrimenti".
"Anche se può sembrare strano - proseguono dal movimento - considerando appunto la marginalità territoriale e culturale dei luoghi in cui il destino ci ha posti, la nostra opera di contrasto ha sempre avuto una motivazione essenzialmente etica e politica, prima ancora che economica o ambientalista. La questione di fondo è sempre stata la seguente: i cacciabombardieri servono per fare la guerra, servono per attaccare territori e popolazioni a grande distanza dal nostro paese; noi aborriamo la guerra in tutte le sue manifestazioni; quindi non vogliamo prepararci a fare la guerra e non vogliamo che si costruiscano ordigni di morte. È un ragionamento molto semplice, che magari, ai più raffinati analisti della politica internazionale e della difesa, può apparire semplicistico. Ma proprio questo è stato il nostro punto di avvio e continua ad essere la sorgente di ogni nostra motivazione attuale. Veder costruire una fabbrica di morte, una fabbrica d'armi, proprio mentre l'Italia partecipa ad alcune guerre qua e là nel mondo, ci ha fatto percepire la concretezza terribile di conflitti apparentemente distanti. Già l'aeroporto militare di Cameri è da tempo impegnato nella manutenzione di aerei da guerra di vario tipo, per esempio dei Tornado; già avevamo l'imbarazzante percezione di vivere in una sorta di retrovia attiva per le missioni di guerra lontane dalle nostre terre. Quando poi ci si è prospettata la notizia che, proprio a poca distanza da casa nostra, ci sarebbe stato uno stabilimento che avrebbe partecipato alla più grande impresa di costruzioni aeronautiche militari di tutti i tempi, ecco, allora molti di noi hanno vissuto con intensità la percezione di un'ingiustizia insopportabile e da contrastare con tutte le nostre forze. Già nel 2007 siamo riusciti ad organizzare un paio di manifestazioni di respiro nazionale, alle quali hanno partecipato persone provenienti anche da centinaia di chilometri di distanza. Certo si è trattato di iniziative di nicchia, che hanno coinvolto allora qualche migliaio di militanti molto motivati, informati, schierati su posizioni politiche radicali e tendenzialmente antistituzionali. Tanto più che ci si trovava ai tempi del secondo governo Prodi, coperto a sinistra dalle formazioni posto neocomuniste. E tuttavia, già da subito, abbiamo capito che, pur se ignorato dai media nazionali, il tema della fabbricazione e dell'acquisto degli F-35 avrebbe potuto acquistare un rilievo simbolico di primo piano nelle pratiche di contrasto delle spese militari e delle politiche guerrafondaie poste in atto dal nostro paese da ormai più di una ventina d'anni, cioè dall'inizio della partecipazione delle forze armate italiane alle cosiddette missioni di pace istituite dalla comunità internazionale (questa entità quasi metafisica, che poi altro non è se non l'aggregazione dei poteri più forti e degli sfruttatori più efficaci). Per alcuni anni, tuttavia, il dibattito si è sviluppato soprattutto a livello locale. Le forze politiche e sindacali locali si sono sentite interpellate dal problema. I partiti del centro-destra hanno subito sposato l'impresa, cercando di sottolineare l'impatto positivo sull'economia locale: ne sarebbero derivati migliaia di posti di lavoro per i giovani delle nostre contrade. I partiti del centro sinistra si sono posti dapprima in atteggiamento ambivalente: da un lato si trovavano appiattiti sulle decisioni nazionali di condivisione e di promozione del progetto (ideato da Andreatta nel corso del primo governo Prodi e poi proseguito con convinzione pure dal governo D'Alema, quello dei bombardamenti sull'ex Jugoslavia), ma dall'altro lato dovevano fare i conti con l'inquietudine di un certo numero di militanti orientati su posizioni pacifiste. Una cosa simile accadeva in campo sindacale, con l'aggravante che, per questi soggetti, la ventilata opportunità del moltiplicarsi dei posti di lavoro (indotto compreso) sul territorio riusciva ad essere un efficace silenziatore di critiche che potessero sorgere al loro interno. Chi ha davvero agito, in definitiva, l'ha fatto per mera iniziativa individuale, a prescindere dagli indirizzi espressi dalle organizzazioni di cui era membro. Alcuni si sono trovati più agevolmente sostenuti da soggetti collettivi antistituzionali, o comunque radicali, ed impegnati nel residuo attivo del cosiddetto movimento noglobal e dei gruppi pacifisti anche appartenenti al mondo cattolico. Altri invece hanno dovuto scontare la possibilità di scontrarsi con le gerarchie delle loro organizzazioni inserite organicamente nel gioco neocorporativo ed istituzionale dello Stato sociale in sui viviamo. Si può forse dire che il movimento locale no F-35, con le sue lievi diramazioni nazionali, sia stato un vero e proprio movimento di cittadini, di individui motivati da valori, che si sono mossi in completa autonomia rispetto alle appartenenze politiche, sindacali, religiose, ideologiche: una novità nel panorama sociale del nostro paese. In questa singolarità sta sia l'opportunità di innovare le tradizionali pratiche pacifiste ed antimilitariste, sia la difficoltà di farsi ascoltare, inizialmente, da tutti coloro che erano, ad ancora sono, abituati a rigide appartenenze e a semplificazioni rassicuranti. Ma ora il paesaggio è stato stravolto dalla crisi economica; il terremoto della finanza e dell'economia reale ha portato diversi individui (anche economisti, giornalisti, eccetera) e gruppi organizzati (anche partiti politici) a riflettere sull'opportunità di una spesa esorbitante, che ormai si può considerare anche superiore ai venti miliardi di euro. In tal senso, anche la CGIL di Novara, che non era tra i promotori originari del movimento, ha aderito all'ultima manifestazione del 12 novembre 2011. Alcuni sindacati di base sono invece stati sempre presenti nel movimento, seppure con qualche incertezza operativa, fin dai suoi inizi: è il caso di USB (nata da poco), di CUB, di USI-AIT, di Confederazione COBAS. Sul versante strettamente istituzionale bisogna invece ricordare che alcuni enti locali, già quattro anni fa, hanno votato documenti contrari ai nuovi cacciabombardieri. Da ultimo, nello scorcio finale dell'anno appena trascorso, il consiglio comunale di Novara, con maggioranza di centro-sinistra dopo le ultime elezioni amministrative del giugno 2011, ha votato pure una mozione contraria agli F-35. Ora siamo in una compagnia più affollata: ci si sente meglio, si è meno isolati, si vedono traballare le fondamenta delle certezze su cui si fondava l'edificio dell'apparato militare di Stato. Da parte nostra, restiamo sempre fermamente ancorati ai nostri principi e proseguiamo senza alcuna deviazione dall'obiettivo principale, che è quello di impedire la costruzione della fabbrica e non solo l'acquisto (o la riduzione del numero dei pezzi acquistati) di cacciabombardieri F-35. La prima e fondamentale motivazione che ci ha portato ad impegnarci in questo senso è, come si è già evidenziato, senz'altro etica: noi riteniamo la guerra un male assoluto e quindi ogni strumento per condurre conflitti armati è in sé malvagio e produttore di morte. Non si può immaginare un cacciabombardiere come strumento di pace: non esistono impieghi alternativi di un tale tipo di velivolo. E questa motivazione morale sarebbe già ampiamente sufficiente per giustificarci, senza la necessità di ulteriori specificazioni. E tuttavia sappiamo di vivere nel mondo e sappiamo usare il linguaggio comune che declina non solo valori, ma anche interessi più o meno egoistici o collettivi. Da questo punto di vista abbiamo sempre rilevato che ci sono ampie motivazioni politiche per opporsi alla costruzione di una fabbrica di cacciabombardieri: si tratta infatti di armi di attacco, pure in grado di trasportare ordigni nucleari, che servono a condurre guerre di conquista ben distanti dal nostro territorio, si tratta di armi necessarie all'espressione della prepotenza delle nazioni aggressive. C'è dunque da chiedersi: è opportuno che l'Italia resti nel gruppo dei gendarmi internazionali che insistono nel tentativo di imporre il loro potere di controllo su gran parte del pianeta? A noi sembra che ciò sia non solo ingiusto e contrario alla costituzione vigente ed al nostro istintivo desiderio di vivere in pace, ma pure inopportuno politicamente, in quanto manterrebbe l'Italia nella posizione scomoda e pericolosa in cui si è messa partecipando, negli ultimi vent'anni, a numerose guerre spesso contrabbandate come missioni umanitarie. Il ragionamento economico potrebbe apparire più complesso, ma, in realtà, mantiene un'evidenza almeno pari a quelli condotti appena sopra. Soprattutto a Novara e dintorni, diversi politici ed imprenditori hanno propagandato l'impresa di costruzione degli F-35 come utile occasione di creazione di nuovi posti di lavoro, che sarebbero, ad ogni modo, inseriti nella produzione attiva di strumenti di morte. Quindi, qualunque sia il numero di tali posti, ciò non potrebbe mai essere considerato come equivalente ai benefici di una produzione socialmente utile per la vita, con l'impiego di nuove tecnologie in campo civile. Senza la necessità di fare tutte le opportune citazioni di giornalisti, ricercatori, sindacalisti, che si sono occupati della faccenda, è innegabile che si tratti di promesse temerarie o volutamente ingannevoli. Dai diecimila posti di lavoro strombazzati dagli onorevoli locali del PdL e della Lega Nord si è passati, da quel che si sa fino ad oggi, a un massimo di seicento persone che saranno impiegate nei momenti di attività a pieno regime, ma che saranno per lo più trasferite da altri siti, mentre centinaia di domande di assunzione sono impropriamente stipate negli uffici del comune di Cameri. Se si pensa ai costi enormi già sostenuti (più di due miliardi di euro) per partecipare alle fasi preparatorie e per costruire gli hangar nuovi dentro l'aeroporto di Cameri, se si pensa poi al prezzo degli aerei che l'Italia dovrebbe acquistare (ormai anche l'ex sottosegretario alla difesa, Cossiga junior, ha citato la cifra di duecento milioni di euro per ogni pezzo), allora è del tutto evidente che ogni posto di lavoro generato da questo progetto è davvero costosissimo. Qualunque altra attività economica che ricevesse un investimento pari a quello previsto per gli F-35 genererebbe un numero di posti di lavoro immensamente superiore. Fatto sta (potrebbero dire i sostenitori del progetto) che non c'è in piedi né in fase di allestimento altra attività economica con pari investimento nel nostro territorio. E proprio in ciò sta il problema: la volontà politica ed imprenditoriale di dirigere gli investimenti in questo o in quel settore è sicuramente condizionata da chi può agire in forma di lobby organizzata. E gli industriali armieri e tutti i padroni di fabbriche di morte sono in ciò insuperabili maestri. Per dare ragione dell'opposizione al progetto relativo agli F-35, potremmo pure far ricorso alla nostra sensibilità ambientalista: lo stabilimento si trova praticamente in mezzo al parco del Ticino; certo l'aeroporto è fuori dal parco, ma è immediatamente confinante. Si può immaginare quale sarà l'impatto ambientale della produzione e dei voli di collaudo (ammesso che ve ne siano)? All'interno del demanio militare non valgono le regole del diritto comune e noi non abbiamo ad oggi notizia di alcuna procedura di valutazione dell'impatto ambientale della produzione di F-35. Certo, anche in assenza di simili remore di carattere ambientalista, noi resteremmo contrari al progetto. Tuttavia è utile ricordare questo aspetto relativo all'impatto sul territorio, anche riguardo al necessario sviluppo di una nuova viabilità, con la conseguente distruzione dei terreni agricoli che verrebbero espropriati, provocando un ulteriore consumo di suolo fertile in zone che già stanno vivendo un'epocale trasformazione in nome della prevalenza del cemento e dell'asfalto. In definitiva: non mancano certo le motivazioni che possono sostenere in modo saldo la nostra campagna di opposizione agli F-35. Noi restiamo fermi nelle nostre posizioni ed evitiamo di gioire di fronte alla ventilata possibilità di ridurre il numero di pezzi che lo Stato italiano deciderà di acquistare. Le nostre motivazioni non ci portano a gioire per nulla di fronte a dichiarazioni o indiscrezioni che ventilano la riduzione dell'acquisto da 131 a 100 pezzi o poco meno. Saluteremmo un taglio al progetto F-35 solo come primo passo verso la riconversione delle spese militari in spese sociali, come riconoscimento delle priorità civili; ma la sostanza del nostro ragionamento non cambia di una virgola. Il senso del nostro operare non sta nella richiesta di razionalizzare le spese militari e di risparmiare risorse finanziarie sempre più scarse, così da rendere sostenibile, per le istituzioni pubbliche, la prosecuzione di una politica della difesa e della guerra fondata sull'aggressione, sull'espansione del modello occidentale, sul controllo mondiale delle fonti di energia e delle materie prime da parte di un ristretto club di decisori ben selezionati".
"La nostra opposizione al progetto F-35 (o JSF, come è stato denominato nel suo complesso, ancor prima che il velivolo venisse individuato con la sigla oggi adoperata) è solo una parte del nostro impegno pacifista ed antimilitarista - concludono - Essere contro gli F-35 non significa essere a favore degli Eurofighter, né delle nuove fregate o del rammodernamento di altre unità navali. La nostra è una critica radicale e decisa rivolta contro l'attuale modello di difesa, che è subordinato agli interessi del nostro principale alleato (gli USA) e di una vaga entità europea ancora tutta da definire. Essere contro la guerra e contro la violenza militare e terroristica comporta la necessità di essere coerenti. Chi vuole la pace non prepara la guerra. Chi vuole la pace prepara la pace e si adopera perché le risorse economiche vengano indirizzate verso spese che incrementano la vita e non la morte. Chi vuole la pace chiede con forza il taglio netto delle spese militari e l'accrescimento della spesa sociale, per esempio in campo sanitario, scolastico, pensionistico, per l'inclusione sociale (casa, reddito, diritto all'esistenza), per la tutela dell'ambiente e del territorio. Assistiamo con soddisfazione all'accresciuta consapevolezza pubblica riguardo alla insostenibilità del nostro modello di sviluppo. Le spese militari, la costituzione di forze armate ipertrofiche, la produzione di armi sono uno dei fondamenti di un modo di vita (e di morte) che sta conducendo il nostro pianeta verso esiti catastrofici. Noi, in questo angolino della pianura padana, continueremo con le nostre pratiche pacifiche e radicali di contrasto del progetto di costruzione degli F-35, cercando di sviluppare un movimento sociale plurale ed unitario negli intenti. Si cominciano a vedere i frutti, ma il tempo del raccolto è lontano: dobbiamo ancora impegnarci molto per coltivare bene il campo che la sorte ci ha affidato. Riassumendo per punti, possiamo dunque evidenziare quanto segue. - Costruire cacciabombardieri d’attacco è anticostituzionale. Consumare risorse pubbliche in tempo di crisi per preparare guerre di proiezione strategica è stupido e autolesionista. Comprare con promesse falsate la speranza di occupazione è immorale. Chiamare “missioni di difesa aerea” i bombardamenti sulle città è vergognoso. - Si stanno moltiplicando le voci critiche, tra la cittadinanza, tra gli enti locali, sui mezzi di comunicazione. - Il caso F-35 è un esempio illuminante della distorsione militarista delle nostre società: si produce per distruggere e uccidere, si ricerca per avere armi più potenti, si investe Denaro pubblico in sistemi d’arma sempre più costosi e sempre meno generatori di occupazione. Mentre intorno la società civile, indifesa, si impoverisce e perde sicurezza. - La crisi che travolge diritti, sicurezza sociale, futuro per i giovani, prevenzione ambientale, può essere l’occasione per una grande riconversione dal militare al sociale: nella ricerca, nella produzione, nei consumi, nelle scelte politiche nazionali, nelle strategie internazionali, nella cultura. - Noi civili siamo il 99% della società. Chiediamo la precedenza. - No agli F-35 è il primo passo di riconversione civile: tagliare un’ingente spesa militare per rivolgerla a scopi sociali".
Per info: info@noeffe35.org.