Trecate - In occasione del 25 Aprile, il sindaco Federico Binatti ha scritto una lettera aperta ai trecatesi che riportiamo: "Care Cittadine e cari Cittadini Trecatesi, ci troviamo quest’anno a celebrare il 75° anniversario della Liberazione d’Italia in un clima surreale, confinati nelle nostre case, separati dai nostri parenti e amici, assediati da un nemico invisibile e, proprio per questo, ancora più subdolo e pericoloso. Già molti hanno rilevato le analogie tra la situazione di oggi e quella di allora. Nel 1945, l’Italia era un Paese in ginocchio: città distrutte dai bombardamenti, intere comunità trucidate dalla barbarie dell’occupazione nazista, migliaia e migliaia di persone deportate nei campi di concentramento tedeschi, da cui molti non hanno più fatto ritorno. Oggi ci ritroviamo in una situazione, per molti versi, analoga: un’economia allo stremo, quasi 200.000 persone contagiate dal virus; di queste, molte ricoverate in ospedali da cui in troppi, oltre 20.000, non sono più tornati nelle loro case. Oggi come allora, abbiamo i nostri “eroi”: nel 1945 furono i partigiani, di tutti gli orientamenti e di tutte le formazioni politiche, che dalle montagne lottarono per contrastare le forze di occupazione, e gli uomini delle nostre Forze armate che combatterono a fianco degli Alleati, partecipando alla loro avanzata e il cui contributo fu determinante per la liberazione del nostro Paese. Oggi sono i medici, gli infermieri, le forze dell’ordine, gli uomini della Protezione civile, i volontari della Croce Rossa e delle altre organizzazioni e associazioni di volontariato: persone comuni che, catapultate in prima linea, hanno saputo raccogliere la sfida e che ogni giorno rischiano la vita per alleviare le sofferenze della popolazione e per combattere questo nemico invisibile. Ma, anche allora, il movimento della Resistenza non avrebbe potuto assumere l’importanza che ha avuto nella storia d’Italia senza il sostegno morale e materiale della popolazione civile. Per essere “resistenti” non era necessario imbracciare il fucile: di fronte ai terrificanti proclami tedeschi, che promettevano (e, purtroppo, mantenevano) la fucilazione immediata e la distruzione della casa per chiunque avesse sfamato un soldato alleato, nascosto un renitente alla leva, aiutato un ebreo, sostenuto una banda partigiana, un semplice atto di umanità diventava un atto di eroismo. Chiunque, in quegli anni foschi, sfidò la morte con coraggio e abnegazione merita pienamente la qualifica di “resistente”. Anche oggi, di fronte all’epidemia, tutti siamo chiamati a fare la nostra parte: il semplice gesto di rispettare le misure di prevenzione, di rimanere in casa, di non mettere a repentaglio la salute di chi è più fragile, come gli anziani e i malati, diventa un piccolo atto di eroismo. L’augurio che ci facciamo tutti è che queste analogie proseguano anche per il futuro: l’Italia che vide l’alba del 25 aprile era un Paese entusiasta, con la voglia di scrollarsi di dosso la guerra, la miseria, la povertà, la fame. L’Italia della ricostruzione diventò in breve tempo l’Italia del “boom economico”, perché era un Paese nel quale, pur con tutte le divisioni ideologiche, tutte le forze politiche e sociali lavoravano insieme, fianco a fianco, per la ricostruzione materiale e morale, a cominciare dalla scrittura della Carta costituzionale. Anche oggi c’è bisogno di quel grande slancio ideale: in un momento come questo, in cui siamo costretti all’isolamento per combattere un nemico invisibile, in cui la distanza sociale ci rende tutti un po’ più soli, possiamo e dobbiamo stringerci e sostenerci a vicenda. Oggi, che siamo ancora attanagliati dall’epidemia, dobbiamo cominciare a guardare avanti, al “dopo”; dobbiamo tornare a guardare al futuro con speranza e coraggio, alla ricostruzione morale e materiale, alla ripresa dell’economia, certo, ma cercando di ricostruire un mondo che sia un po’ più giusto, un po’ più equo, un po’ più sostenibile. L’Italia che rinasceva dalle ceneri della guerra si ricollegava idealmente al Risorgimento, ai suoi ideali di libertà, umanità, civiltà e fratellanza: possano quegli ideali animare ancora i nostri cuori e le nostre menti, così che l’epidemia, così come la guerra 75 anni fa, possa lasciarci un prezioso insegnamento, così che i nostri parenti, amici, concittadini che oggi piangiamo non siano morti invano. L’augurio che ci facciamo tutti, dunque, è che questo 25 aprile sia veramente una festa di liberazione, forse la più grande dal dopoguerra: se tutti saremo uniti, ce la faremo!"