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LE NUOVE MOLECOLE PER BATTERE LA TUBERCOLOSI. TEAM DI RICERCA DELL’UPO

La rivista scientifica ACS Infectious diseases pubblica due studi che dimostrano la possibilità di inibire il batterio che causa la malattia. Menico Rizzi guida il team UPO coinvolto nelle ricerche

Novara - L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha certificato che nel corso del 2015 un milione e mezzo di persone sono morte a causa della tubercolosi. I Paesi del Sud Est Asiatico e il Sud Africa registrano il maggior numero di decessi, nonostante siano già disponibili sul mercato farmaci in grado di curare l’infezione causata dal batterio M. tuberculosis. La malattia è causa di molti decessi anche in Europa e solo in Italia sono state ben 350 — circa una ogni giorno — le vittime accertate nel 2015. Questa tendenza potrebbe essere presto invertita grazie ai risultati ottenuti da due team di ricerca transnazionali e descritti in due articoli pubblicati tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre 2016 sulla rivista scientifica ACS Infectious diseases, il giornale di riferimento dell’American Chemical Society per ricerche sulle malattie infettive. Le ricerche sono state coordinate da Valerie Mizrahi dell’Università di Cape Town (Sud Africa) e da Helena Boshoff del NIAID – National Institute of Health (Stati Uniti) e in entrambi i casi è coinvolto il gruppo di biochimica del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università del Piemonte Orientale, coordinato dal professor Menico Rizzi. I ricercatori hanno individuato una nuova classe di molecole che mostrano promettenti caratteristiche per lo sviluppo di un nuovo farmaco per il trattamento della tubercolosi, che è ancora la principale causa di morte, a livello mondiale, causata da un singolo agente infettivo. Le nuove molecole sono dotate di una potente azione antitubercolare e inibiscono con grande efficacia Guab2, un enzima di M. tuberculosis che è coinvolto nella sintesi delle basi pirimidiniche costituenti il DNA, impedendone quindi la sintesi e causando la morte del batterio stesso. Il team di ricerca UPO ha curato soprattutto gli aspetti strutturali ed enzimologici di un progetto che ha unito competenze in materia di sintesi chimica, biochimica, biologia strutturale, microbiologia, genetica, farmacologia e imaging molecolare in vitro ed in vivo. Oltre all’Italia la ricerca è stata svolta in Sud Africa, Regno Unito, Stati Uniti, Svizzera, Ungheria e Francia.

«Al di là dell’elevato valore scientifico di questa scoperta — commenta Menico Rizzi (nella foto), professore ordinario di Biochimica presso il Dipartimento di Scienze del farmaco UPO — va sottolineato come il lavoro abbia richiesto uno sforzo multidisciplinare e culturale eccezionale, che ha fatto ricorso al lavoro e alle competenze di decine di gruppi di ricerca attivi presso i migliori centri di ricerca a livello mondiale. È stato uno sforzo condotto con uno spirito collaborativo eccezionale che tra Accademia e industrie farmaceutiche non è sempre scontato. La dedizione dei ricercatori coinvolti e il supporto finanziario della Comunità Europea, del National Institute of Health statunitense e della Bill & Melinda Gates Foundation ci hanno consentito di raggiungere questo traguardo, assai promettente per il futuro anche per la rete di collaborazioni che ha generato».