Novara - Al mio risveglio, fra tante notizie più o meno drammatiche, ne trovo una che mi dà emozione; notizia piacevole e che evoca ricordi particolari; scopro, infatti, che oggi è il compleanno di quello che, fra tutti, reputo il simbolo del nostro calcio: Gianni Brera lo chiamava il Piscinin, i milanisti e non solo lo chiamavano "Il Capitano", e tutt’ora lui è ancora Il Capitano e, probabilmente, lo sarà per sempre. Lui è Franco Baresi. Mi piace ricordarlo, ma non per le sue doti calcistiche indiscusse; con lui in difesa hanno dominato il mondo e anche la nostra Nazionale sfiorò l'impresa, perdendo in finale ai rigori contro il Brasile nel '94. Lui merita di essere ricordato per l'attaccamento alla sua maglia, ai suoi colori, al suo popolo; si parla di altro calcio, anche se non sono passati tantissimi anni, si può serenamente dire che fa parte di una mentalità che non esiste più; un legame quello tra tifosi e calciatori perso, un sistema quello calcio che non ci rappresenta più. Presidenti e calciatori ci hanno, ormai, traditi, una volta veniva definito "lo sport del popolo", si giocava per strada, nei cortili e soprattutto negli oratori, poi il calcio è diventato un prodotto da vendere al migliore offerente distruggendo il simbolo stesso che questo sport era. Come si può pretendere che un bimbo ne comprenda il valore se la prima cosa che gli viene insegnata è che, se il papa non può permettersi di pagargli una scuola calcio con parecchie spese, lui ne viene escluso; gli viene vietato di vivere quelle emozioni che ti aiutano a crescere e soprattutto ad imparare la lealtà e l'onore. Collegare le parole lealtà e onore alla parola calcio oggi è pura fantasia. Dalla curva, in questi anni, ne abbiamo viste di tutti i colori; abbiamo visto come questo calcio sia cambiato, cambiato in peggio. Se si vuole vincere servono campioni come Ronaldo, ma siete sicuri che i tifosi vogliono questo? Siete sicuri che i tifosi non cerchino altro? Presidenti e proprietari hanno dimostrato di essere lontani anni luce dalla mentalità dei tifosi, anzi direi che quasi non gliene frega nulla; fortunatamente io ho avuto una scuola differente. Crescere su quei gradoni col “mio vecchio” accanto, senza guardare un solo minuto il campo, ma passando l'intera partita con lo sguardo rivolto verso la curva, affascinato da quello che rappresentava in quel momento, ripromettendomi che, se un giorno avessi fatto parte del mondo del calcio, il mio posto sarebbe stato li in mezzo. Trovare li tutto quello che al di fuori mancava: onore, lealtà e coraggio. Il calcio avrebbe solo da imparare, ricordandogli ad ogni partita che lo spettacolo non è in campo, anzi quella è la cosa che meno conta, bensì su quegli spalti dove ci siamo noi e senza di noi non c'è spettacolo. Periodo difficile, non si gioca da qualche mese, tutti impauriti per una malattia che è quasi stata in grado di annientare il nostro sistema sanitario e portarci a quello che siamo realmente, poco più che un Paese del terzo mondo. In tutto questo i governanti del nostro calcio, la maggioranza almeno, stanno riuscendo a scavare oltre il fondo; si lamentano per mancate entrate economiche e intanto la gente muore, chiedono aiuti al Governo e intanto la gente muore, chiedono che si torni in campo subito e intanto la gente muore. Una vergogna questa, capace di far allontanare ancora di più i tifosi, che sono stufi di sopportare i loro capricci, di essere considerati meno di zero nonostante siano capaci di lottare per un qualcosa che i loro soldi non compreranno mai: siamo noi tifosi i primi a dire di non giocare, di non mettere a rischio la vita di nessuno, compresa quella dei calciatori, seppur complici di questa distruzione. Non meritano di rischiare la loro vita, nessuno lo merita anche se so benissimo che il vostro calcio, quello delle banche e delle delle televisioni, vi imporrà delle regole: del resto se tradisci il tuo popolo col diavolo è giusto pagarne le conseguenze. Vi obbligheranno a giocare a porte chiuse, il calcio così morirà, ma se c'è una cosa che ci separa da voi è proprio questa, noi non siamo schiavi di nessuno, siamo liberi da qualunque obbligo, siamo liberi di esprimere il nostro pensiero; sono libero di dire che siete stati in grado di far passare la voglio pure al sottoscritto. Quei gradoni sono la mia vita, senza è una parte di me che non c'è più; mi si propone un dilemma, cedere alla vostra distruzione totale di quel poco che è rimasto del nostro calcio, oppure cancellarvi completamente dalla mia vita, vivendo di ricordi e niente più. Quando riuscirete ad amare questo gioco come noi, sarà solo allora che meriterete di farne parte; il tempo ma soprattutto gli episodi cambiano le persone, ma una cosa ve la voglio dire, "il calcio siamo noi, e voi non siete un..."
Maurizio Ciniello
IL CALCIO SIAMO NOI, E VOI NON SIETE UN C...